Impossibile dire di essere stati in Salento senza aver visitato Otranto. Perché Otranto rappresenta l’essenza di questa terra, ne simboleggia la storia e, soprattutto, ne incarna le maledizioni come nessun’altra città.
Melting pot già dall’antico nome, Hydruntum – dove una radice greca si fonde a una desinenza latina –, Otranto è laddove l’Occidente incontra l’Oriente, è il vero baluardo d’Europa. E la sua architettura, la sua luce, i suoi nomi e persino la sua cucina sono cicatrici ancora aperte, testimonianze vive di quella che è stata una lunga storia di scontri e incontri. Hydruntum ha in sé l’acqua, dal greco hydris appunto, e a visitarla d’estate si stenta a crederlo, tanto è arso il paesaggio in cui è incastonata, là dove le pietre e gli asfodeli si confondono nello stesso bianco abbacinante.

Che cosa visitare, dunque, in questo piccolo gioiello sospeso tra il mare e il cielo?

1) Il Castello di Otranto

Sarà per gli echi letterari ma, anche se non si è letto Walpole, è inevitabile esserne attratti solo a sentirne pronunciare il nome: il Castello di Otranto. Splendida costruzione militare,  forma un tutt’uno con ciò che resta della cinta muraria cittadina, affacciandosi sul mare come un cuneo puntato, minaccioso ma inutile, a Oriente.
Nasconde un’anima sveva sotto le rutilanti vesti spagnoleggianti: già potenziato da Roberto il Guiscardo, furono Federico II prima, Alfonso d’Aragona e i viceré spagnoli poi, a decretarne l’attuale struttura – magnifica nella sua sfavillante pietra di carparo sotto le bordate del solleone pugliese.

L’attuale gestione sa valorizzarlo con accortezza: è sede espositiva per mostre temporanee e del Civico Museo Archeologico (un must per gli amanti della preistoria). Ma soprattutto, offre un’esperienza imperdibile nella visita guidata ai sotterranei, di recente aperti al pubblico.
Percorrere le viscere del castello significa insinuarsi nei budelli della storia cittadina, intravederne le fasi, seguire le tracce degli occupanti e udire i lamenti dei suoi demoni.

Otranto è una città infestata da demoni.
Evaporano da ogni pietra, si nascondano sotto i ciottoli delle vie tortuose tra i campi e si specchiano sulle chianche scivolose di pioggia – quando raramente scende dal cielo. Sfarinano gli scogli nelle notti di tempesta, fischiano col vento tra i ruderi delle torri sul mare. Corrono sulle onde che da est esplodono torbide sui bastioni, fuggono in mezzo agli asfodeli seccati dalla salsedine, si invischiano nella dolcezza dei fichi troppo maturi e si infilano sotto le gonne nere delle vecchie. Li senti nella polvere dell’asfalto, nel sentore acre di fumo che lentamente brucia le stoppie nei pomeriggi di fine estate, tra gli ulivi centenari. Vibrano nella voce e negli occhi della gente seduta ai margini della fiumana di turisti, anche loro stranieri su una terra che ne ha visti passare tanti, troppi.

I demoni di Otranto sono almeno 800, ed è doveroso rendergli omaggio nel loro santuario.

2) La cattedrale di Santa Maria Annunziata

Al termine della navata destra, la Cappella dei Martiri di Otranto ospita le ossa degli 800 idruntini massacrati e decapitati dai Turchi sul Colle della Minerva il 14 agosto 1480 per non aver rinnegato la fede cristiana, nei giorni successivi al tremendo assedio. Alle spalle dell’altare, si conserva ancora il masso su cui, così si dice, ognuno di loro perse la testa. Si passa velocemente davanti le alte teche, osservati da centinaia di orbite vuote, e non si può fare a meno di percepire la sacralità della loro storia, che si narra ogni giorno per ogni turista, per ogni nuovo straniero che approda sulla loro terra scavata dal tempo.

Ma la cattedrale impone la visita per ciò che non abbiamo potuto fare a meno di osservare, estasiati, non appena varcata la soglia: il celeberrimo pavimento musivo, l’enorme mosaico di Pantaleone, che ricopre l’intera superficie della chiesa. Si dice che il monaco basiliano, proveniente dal monastero di San Nicola di Casole, lo realizzò insieme alla sua equipe di artisti tra il 1163 e il 1165, per rendere fruibili anche agli analfabeti, che avranno di certo rappresentato la maggioranza dei frequentatori del tempio, tutte le storie allora conosciute, realizzando, di fatto, un’enciclopedia del sapere dell’epoca, tessera dopo tessera.
Il risultato è quanto di più incredibile si possa concepire in un contesto simile. Non solo per l’effetto scenico, quanto per la grandiosità dell’intento. E’ un “pavimento parlante”, che parla la lingua universale del sacro, traghettandola dai millenni scorsi – incarnati nelle tante figure oggi calpestate da turisti e fedeli – all’eternità del futuro, o almeno fino a quando la Sovrintendenza riuscirà a garantirne l’incolumità.


Il ciclo del tempo e delle stagioni; i mestieri dell’uomo; le storie dell’Antico Testamento e i grandi personaggi della storia dell’uomo; animali reali e mitologici: non manca niente, tutto appeso ai frondosi rami dell’albero della vita, la vera spina dorsale di questa straordinaria cattedrale.

3) La chiesa di San Pietro

Tutto è fermo, a Otranto. Non esiste passato né futuro, tutto è un immobile istante che vortica su se stesso e prende forma, a seconda dei propri demoni, in pietra luce foglia acqua o carne. È il destino delle città di confine, e Otranto è la regina delle città di confine. La o di Otranto non è semplice lettera capitale ma reale uroboro, simbolo di infinito, di eterno ritorno.

Lo si percepisce non appena si entra nella piccola, sublime chiesa di San Pietro. Fin dalla pianta, un’inconfondibile croce greca, promette di essere scrigno di arcane verità, e l’interno non delude le aspettative, anzi.

I magnifici affreschi ricoprono un arco temporale che dal X secolo arriva all’epoca moderna, e i più recenti cercano di emulare i più antichi in un dialogo mai interrotto. Ma ciò che stupisce, soprattutto oggi, in tempi di nuovi arrivi e inutili lotte tra “noi” e “loro”, è l’iscrizione in sufico sull’architrave dell’abside, esattamente sopra l’areola della Vergine. Si stenta a crederlo, ma proprio lì, nel punto più sacro del tempio, un arabo di chissà quanti secoli fa ha voluto celebrare la grandezza del suo Allah, arricchendo il tempio cristiano con le sue parole straniere, in caratteri che sembrano mutarsi in vegetali, come a dire tutto è vita, tutto è sacro e tutti ne partecipiamo allo stesso modo. Ortodossi, arabi musulmani, cattolici: tutti hanno contribuito a rendere grande questo piccolo tempio, tutti hanno celebrato questo angolo di positiva immutabile eternità.

4) Porta Terra e la Porta Alfonsina

Simbolicamente, è l’altra anima della città: Porta Terra è la corazza alle spalle del mare, la via di fuga tra i colli sassosi, la salvezza ma anche la minaccia che arriva dall’entroterra; da qui parte la strada che conduce al Colle dei Martiri, da qui passano le processioni sacre che il 2 aprile scendono dal Colle, in onore di San Francesco da Paola; da qui tornano i martiri e i demoni.
Rappresenta la via d’accesso alla città da ovest ed è la prima immagine che si ha del centro storico. Il bastione di epoca napoleonica nasconde, pochi passi all’interno, quello più suggestivo aragonese, la Torre Alfonsina, ovvero il nodo principale da cui si dipartono le mura della città.

Al centro della grande piazza affacciata sul verde acqua della baia di Otranto, alle spalle della Torre, la bella Idrusa incarna il monumento agli Eroi e ai Caduti del 1480. È una storia nella storia, quella della giovane Idrusa, protagonista al tempo della strage a opera dei Turchi. Si dice che, già appesantita dal fardello della coscienza per il suo bruciante amore adulterino per un ufficiale spagnolo, la notte dell’eccidio riuscì a mettere in salvo più di un bambino, prima di uccidersi con un pugnale nel petto, per non cadere vittima degli ottomani.

5) Animamundi

Non tradisce il suo nome e si rivela custode dell’anima di questo luogo speciale. Ci imbattiamo per caso in questa piccola libreria, che è molto di più di una libreria.
Casa editrice e discografica, associazione culturale, agenzia di eventi e non solo, non è semplice definire Animamundi a Otranto. Ma di certo è una tappa imprescindibile, se si vuole accedere ai segreti, alle storie più autentiche del luogo.

Le musiche e le immagini del Salento, le leggende delle sue coste, le voci delle sue strade: tutto può essere carpito nelle parole di un vero amante di questa terra, un idruntino che pare incarnare nel suo serafico sorriso ogni anima della propria città.
È un piacere parlare con Giuseppe Conoci, il suo ideatore – e grazie a lui riusciamo finalmente a dare la degna colonna sonora al nostro viaggio. Il suo progetto, tanto ambizioso e utopico quanto realistico, dà carne e parole e accordi al senso di confine, di multiculturalità e di universalità di questa piccola città salentina. È un rifugio visceralmente folk, una finestra spalancata sullo scirocco che oggi non porta più vele ottomane, ma suoni ammalianti e rapsodici.

Otranto è tutto questo e molto di più. I cinque “luoghi parlanti” che ti abbiamo mostrato sono solo un invito a percorrerne lo spirito. Otranto è un concetto metafisico che va ben oltre le sue strade: è la luce esatta sopra i suoi tetti piatti, è l’ombra impalpabile dei suoi demoni, ma soprattutto è una verità immutabile che ti resta tra la lingua e i denti, come una domanda inespressa.

Che sia la luce
a dare la risposta.

La luce che accende il legno delle navi
la luce sui muri di calce
la luce di terra bagnata
che piega le forme
e tesse l’ombra degli inganni,
che è un’ora ferma.

La luce di salsedine
la luce meridiana
che ferma le onde e zittisce il vento
brucia le forze e indurisce la pietra
lacera le paure

la luce, allora,
con tutti i suoi demoni.

(I Demoni di Otranto, naturalmente, sono quelli di Roberto Cotroneo, da cui abbiamo ‘rapito’ questa poesia e tante suggestioni)