Le parole, tutte le leggi che ne regolano l’uso, altro non servono che ad avvicinarsi il più possibile alla vera comunicazione: quella non verbale. Può sembrare una follia ma è la più semplice delle verità, e bene lo sa chi si impegna ogni giorno a trovare il modo migliore per comunicare quello che ha in testa.
Mamihlapinatapai è una parola intraducibile
di un idioma del Sudamerica in via di estinzione, lo Yaghan, e sembrerebbe indicare uno “sguardo reciproco e intenso tra due persone che va al di là delle parole”. O almeno questa è la lettura che ne dà la linguista Anna Daigneault.
Sembrerebbe. Perché il vero significato sfugge a tutti. Thomas Bridges, nel 1860, lo interpretò come “guardarsi sperando che l’altro si offrirà di fare qualcosa che entrambi desiderano ma non vogliono fare”; Victor Vargas Filgueira, uno dei pochi parlanti rimasti nonché guida Yaghan, lo descrive come “il momento di meditazione attorno al fuoco quando i nonni trasmettono le loro storie ai giovani. È il momento in cui tutti si fanno silenziosi”. Victor non è però madrelingua Yaghan e ne ricostruisce il significato per intuizione; escluso anche lui, nessun altro ha la padronanza sufficiente di questo idioma e di un altro, per saperci dire che diamine significhi davvero questa parola.
Mamihlapinatapai ha così assunto i significati più vari, forte della sua carica fascinosa di meta-parola intraducibile. Una parola che strizza l’occhio al nostro modo di comunicare più profondo, ma di fatto incomprensibile: ecco che ognuno la carica delle più varie sfumature, e parte il trip linguistico-filosofico.
A noi non interessa aggiungere fumo al fumo, ma vogliamo captarne il significato di base e farne una bussola capace di guidarci nella nostra comunicazione di tutti i giorni, scritta e orale.
Mamihlapinatapai è il limite cui tendere in ogni nostro atto comunicativo, è l’intraducibile segreto della comunicazione.
In una parola, forse più comprensibile, è puro rapport.
Che cos’è il rapport?
Si tratta del fondamento della Programmazione Neuro-Linguistica, ovvero la condizione senza la quale tutto è vano, la comunicazione non funziona come dovrebbe e ogni nostra parola, gesto, immagine arriva a segno come non vorremmo. È armonia, concordanza, accordo o affinità con l’interlocutore: se si è “in rapport” con una persona, si è in grado di comunicare con essa in modo autentico, vero, pieno.
È allo stesso tempo presupposto e fine di una corretta comunicazione. Presupposto, perché senza questo stato di “allineamento” tra emittente e ricevente il messaggio arriverà compromesso, corrotto, sfibrato. Fine, perché non è affatto semplice raggiungere questo stato di sintonia con l’altro, occorre mettere in atto tutta una serie di comportamenti e conoscenze che richiedono un duro allenamento.
In questo sottile gioco di “sincronizzazione” con chi ci ascolta, le parole – insieme ai gesti, alle espressioni, al contesto in cui ci troviamo – non hanno altro obiettivo che raggiungere il mamihlapinatapai. Uno sguardo che va al di là delle parole e che ci fa capire di essere, davvero, in contatto con chi abbiamo di fronte. L’occhio si fa specchio e porta spalancata all’altro, finalmente libero dalla costrizione linguistica.
Come si raggiunge il mamihlapinatapai – rapport?
Semplicemente, “ricalcando” l’altro. Non annullando se stessi, ma cercando in se stessi un punto d’incontro con l’altro. Come vede il mondo? Che parole usa? Che sensazioni esprime? Come muove le sue mani, i suoi piedi, tutto il suo corpo? Posso “accordare” le mie parole, i miei gesti, le mie sensazioni sulle “frequenze” dell’interlocutore?
Esistono tanti modi per farlo e occorrerebbe ben più di un post di blog per affrontare l’argomento. Una lettura utile per cominciare a capirci qualcosa è questa. L’importante è, almeno inizialmente, predisporsi ad ascoltare e osservare l’altro, nella pura e semplice volontà di “incontrarlo”.
La faccenda si fa maledettamente difficile quando occorre comunicare a un ascoltatore lontano e, peggio ancora, mai conosciuto, come quando scriviamo sul web. In tal caso, ci può aiutare il marketing e tutto ciò che serve per “profilare” il nostro “obiettivo”. Marketing che – è sempre bene ricordarlo – non significa “occuparsi di pubblicità” come comunemente ed erroneamente si intende, bensì “stabilire una relazione” la più duratura e profittevole possibile con l’altro.
Ma questa è un’altra storia, lunga e complessa; magari domani, a poco a poco, l’affronteremo.
Per adesso, ogni volta che ci apprestiamo a parlare o scrivere, cerchiamo di ricordare una sola parola: mamihlapinatapai. E chissà che, un giorno, riusciremo a fare a meno anche delle parole.