Capita spesso di usare marca e brand come fossero sinonimi, sbagliando. Per chi non si occupa di marketing o branding, la differenza è tanto sottile quanto importante non solo per orientarsi in questa disciplina, ma per prendere consapevolezza di sé e di molti meccanismi che regolano la nostra vita in quanto “esseri sociali”. La definizione stessa di marketing sta tutta nello scarto tra questi due termini. Vediamo insieme perché.
C’era una volta un cavallo
Se preferisci, va bene anche una mucca.
Marca e brand condividono infatti la stessa “matrice semantica” ovvero nascono da termini che, pur essendo diversi per etimologia cioè per forma, originariamente avevano un significato affine, da ricercare in mezzo alle mandrie e ai boschi dell’Europa centro-settentrionale.
Marca viene dall’antico germanico *marka “segno” che di solito era tracciato sulla corteccia degli alberi, come segnalazione del limite confinario (così, il Dizionario Etimologico della Lingua Italiana di Cortelazzo e Zolli).
Brand deriva dall’antico germanico *brand “tizzone”, da cui l’odierno termine tedesco brand “fuoco”, qui inteso nel significato specifico di “marchio a fuoco”. È una parola che nasce dalla cultura millenaria delle popolazioni germaniche, composta in origine da popolazioni nomadi, per le quali l’allevamento del bestiame rappresentava una delle principali fonti di sostentamento. Il brand, il fuoco, consentiva di separare i propri capi di bestiame da quelli del gruppo familiare vicino ma diverso dal proprio: una piccola cicatrice, procurata da un ferro arroventato sul garrese di un cavallo, permetteva facilmente di identificare l’animale vita natural durante.
E non è certo un caso che, nel marketing, qualcuno abbia parlato della necessità di essere una “mucca viola”, cioè una mucca con un marchio unico e irripetibile, che si distingue immediatamente dalle centinaia del proprio gregge.
Qual è il filo rosso di queste parole?
La differenziazione, appunto. Marca e
brand esprimono entrambe un modo per
evidenziare un’identità propria e quindi una diversità rispetto ad altre entità
della stessa specie.
Che cos’è una marca?
Secondo la definizione dell’American Marketing Association “la marca è un nome, un termine, un segno, un simbolo o qualunque altra caratteristica che ha lo scopo di far identificare i beni o i servizi di un venditore e di distinguerli da quelli degli altri venditori”.
Si tratta dunque di un marchio in senso stretto, cioè di un insieme di elementi grafici identificativi: il nome, detto anche brand name, il logo, in gergo brand mask cioè un simbolo che dovrebbe interpretare la marca, e il pay-off ovvero lo slogan che dovrebbe esplicitarne la mission o il carattere.
Che cos’è un brand?
Per il padre del marketing moderno Philiph Kotler il brand “è un nome, termine, segno, simbolo o disegno o combinazione di essi che viene usata per identificare i prodotti o servizi di un venditore o gruppo di venditori e per differenziarli da quelli dei loro concorrenti”.
Già nel 1991, l’economista David Aaker afferma che un brand “è un set di attività (o passività) collegate a un segno distintivo (marchio, nome, logo) che si aggiungono (o sottraggono) al valore generato da un prodotto o servizio”.
Il francese Jacques Séquéla riconosce nel brand, oltre al nome, l’“anima del bene”. Cioè, mentre il nome di marca corrisponde e interpreta unicamente le caratteristiche tangibili, l’“anima” e dunque il brand ne incarna i valori strettamente connessi.
Nel 2006, Carlo Alberto Pratesi e Giovanni Mattia affermano che “il brand ha una propria manifestazione espressiva; è quindi un insieme di segni e simboli, tangibili e intangibili, che ne connotano fisionomia e personalità, come accade per un individuo”. Infine, secondo Renato Fiocca e Alberto Marino (2007) “rappresenta per imprese e consumatori un momento di attrazione e di congiunzione tra ciò che l’impresa è in grado di offrire e ciò che i consumatori percepiscono e desiderano”.
Pur essendo un concetto più fluido rispetto a quello di marca, per capire che cosa sia un brand è indispensabile tenere conto della percezione e del desiderio dei consumatori, e dunque del valore che il marchio/prodotto rappresenta per questi. Si tratta cioè di guardare al tema dell’identità (di un’azienda, un prodotto, una persona) non dal punto di vista del produttore ma dell’osservatore-consumatore: caratteristica, questa, che è alla base dell’identità stessa, dell’approccio e dei metodi del marketing.
Just my immagination
Cantavano i Cranberries. E non soltanto la mia
immaginazione, ma quella di tutti coloro che condividono la mia percezione di
una data marca, cioè il brand.
Quali sono le mie sensazioni appena vedo la celeberrima “mela morsicata”? Che
cosa mi immagino?
Certamente, penso all’efficienza tecnica, allo stile e all’eleganza. Ho in
mente qualcosa di cool, e io stesso
lo divento se faccio mio un prodotto di quel brand, se lo mostro agli altri e mi
identifico in quel logo. La “mela morsicata” non è un semplice logo ovvero una
marca, è un potente strumento simbolico
che mi aiuta ad essere quello che voglio attraverso
la percezione che mi sono fatto di quel segno: ecco perché è un brand.
Nel marketing le percezioni sono più importanti della realtà, perché influenzano il comportamento d’acquisto dei consumatori.
Philiph Kotler
Semplificando, possiamo dire che la marca è un sottoinsieme del brand.
La marca riguarda solo il concetto di identità
fisica, essendo costituita dall’insieme di elementi grafici che permettono di
riconoscere una determinata azienda o prodotto da quelli della stessa
categoria. Per creare un brand, è necessario includere anche altri aspetti
necessari a creare una percezione nell’osservatore-consumatore: quelli relativi
ai comportamenti (chi frequento e
come mi comporto in mezzo agli altri, siano essi competitor, partner, clienti o
semplici persone di cui mi circondo per i più svariati motivi) e ai contenuti che offro agli altri (di che
cosa parlo o scrivo, online e offline, quali toni e modi di comunicare uso,
quali canali preferisco, eccetera). Da questo incrocio di elementi deriva l’immagine
che gli altri si fanno di me, ovvero la mia credibilità, la mia reputazione, la
mia visibilità: in una parola, il mio brand.
Tu sei un brand
In realtà, io un “logo” ce l’ho già. È il mio volto.
Insieme alla mia immagine e al mio comportamento nella vita di tutti i giorni,
online e offline, costituisce il mio brand. Che, sulla carta, è dato dal “marchio”
grafico di due semplici elementi: il mio nome e il mio cognome.
Ecco che già dispongo di tutto quel pacchetto di strumenti che permettono agli altri di farsi un’idea di me, differenziandomi da loro stessi e da tutti coloro che li circondano: è la percezione che gli altri hanno di me.
Come posso costruire e gestire il brand di una marca, grazie ai metodi e agli strumenti del branding, allo stesso modo posso costruire o meglio plasmare il mio brand. L’attuale successo del personal branding dimostra come sia sempre più importante prendere consapevolezza della propria immagine, nel tentativo di strutturarla in modo positivo e verso un obiettivo, per lo più orientato al proprio ruolo professionale. Il peso del personal branding, in quanto capacità di interpretare e guidare la percezione che gli altri hanno di me, è sempre più determinante in una società fluida come quella contemporanea e, soprattutto, in un mercato del lavoro in continuo e vertiginoso cambiamento.
Oltre al curriculum, sarà il mio brand a convincere un’azienda a scegliere proprio me e non altri. Il mio brand in quanto insieme di valori, contenuti e comportamenti che riesco a comunicare.
Se ti interessa approfondire, in rete puoi trovare professionisti in grado di guidarti. Io ti consiglio di seguire Riccardo Scandellari e Rudy Bandiera, un’ottima fonte di spunti, riflessioni e pubblicazioni sull’argomento, che apprezzo molto per tono e stile. Non vedere il personal branding come una “verità” o una fede, quanto piuttosto come un metodo per prendere più consapevolezza di te stesso e delle tue potenzialità. Provaci, e vedrai che ti scoprirai in grado di fare cose che fino ad ora non avresti nemmeno immaginato.