Cambia gli strumenti con cui le persone interpretano e comunicano il mondo, e cambierai il mondo stesso. Questo ci dice, pagina dopo pagina, Alessandro Baricco in The Game. E, seguendo i suoi voli mentre ricostruisce davanti ai nostri occhi la mappa dei nuovi strumenti dell’umanità, ci ritroviamo tra le mani, per la prima volta, la mappa della nuova civiltà.

È un primato, quello di Baricco in The Game.
In barba a tutti i “tecnici” (informatici e ingegneri, per lo più) che hanno condotto e stanno conducendo la “rivoluzione digitale”, ci voleva un umanista come lui per porre la domanda delle domande e dare, per giunta, una risposta convincente.

Che diamine stiamo combinando?

Come un Marzullo inarrestabile e decisamente visionario, Baricco si e ci pone una serie di domande tra l’esistenziale e il metafisico, offrendo, subito dopo, risposte incredibilmente concrete. Così concrete da poterci disegnare una mappa.
Sì, proprio una mappa. Con fiumi, montagne e colline, pianure e mari. Isoipse e vie di comunicazione, toponimi e roba così.
Stendendoci una mappa sotto il naso ci dice, per filo e per segno indicandocelo col dito, dove siamo partiti, dove siamo adesso e che strada abbiamo fatto per arrivarci e, pure, dove probabilmente andremo a breve.
La topografia è quella del mondo contemporaneo, la legenda che la interpreta e la codifica è quella fornita dalla “rivoluzione digitale”: abbiamo di fronte la fotografia dell’umanità a partire dalla fine degli anni Cinquanta, più o meno, a oggi. In pratica, possiamo godere dell’immagine di un piatto bell’e pronto mentre ancora i suoi ingredienti stanno a bollire in pentola. Straordinario.

La mappa è il territorio

Lo sappiamo bene, soprattutto noi del marketing e della comunicazione: “la mappa non è il territorio”.
In questo caso, però, la mappa è molto di più.
È una sorta di libretto di istruzioni della contemporaneità. Perché descrive i nuovi rivoluzionari tools con cui l’uomo di oggi si è messo in testa di smaterializzare ogni cosa, per ricostruirla a suo uso e consumo e soprattutto divertimento, quasi fosse un gioco. E descrivendo questi strumenti, Baricco li posiziona nello spazio e nel tempo, spiegandocene ragion d’essere e funzionamento.

Al bando il Novecento

La tesi principale di Baricco è questa, semplificando un po’.
Un gruppo più o meno incosciente di umani, localizzato nell’estremo west del mondo occidentale, reduce da quella carneficina dalle proporzioni disumane che è stato il Novecento, si è messo in testa di scardinarne le fondamenta per far sì che le sue immani tragedie non possano più ripetersi.

Ok, potrebbe anche essere. Ma come è possibile sradicare il Novecento dalle menti e, soprattutto, dai comportamenti dell’umanità?
Distruggendo le élite, togliendo il pulpito sotto ai piedi da ogni sacerdote, sradicando il concetto di “sacralità” insito a ogni differenza sociale alla base del mondo per come lo abbiamo conosciuto sino ad oggi.
E come ci sarebbero riusciti, quei nerd che hanno dato vita al web, a Internet, Amazon, Google e compagnia bella?
Nel più efficace dei modi: evitando lo scontro diretto, cioè le guerre per un’ideologia combattute in campo aperto, e iniziando a scavare tunnel sotto ai castelli dei potenti, fin tanto che il terreno ha cominciato a crollargli sotto i piedi. Ovvero abolendo le intermediazioni, cioè rendendo inutile l’opera di questi “sacerdoti”. Per fare un esempio: le librerie tradizionali sono sacerdoti, e Amazon è il tool che ha reso inutile la loro mediazione tra noi, i lettori, e i libri. Applica questo concetto a ogni ambito della nostra vita e capirai facilmente la sconfinata importanza di questa rivoluzione silenziosa e ormai irreversibile.

Quella che inizialmente può sembrare una tesi un po’ bizzarra, gonfiata dalla mente visionaria di un umanista con la testa troppo sui libri, sotto le argomentazioni implacabili di Alessandro Baricco assume il peso di un’analisi davvero calzante. Non si è più gli stessi, dopo aver letto The Game o, almeno, non possiamo più guardare alla nostra epoca in modo “ingenuo” come prima. Baricco ci apre gli occhi ed è inevitabile sorprenderci a guardare ogni cosa con quell’espressione infantile di chi vede il mondo per la prima volta: diamine, è proprio così, tutto torna! Come ho fatto a non accorgermene prima?

The Game: a che gioco giochiamo?

La chiave per capire che cosa sta accadendo e, soprattutto, che cosa accadrà nel prossimo futuro sta proprio nel titolo.
Tutto è iniziato da un (video)gioco, spiega Baricco, e nel gioco trova la sua ragion d’essere, anzi la sua religione, l’intera rivoluzione digitale. La gamification, termine con cui oggi ci riempiamo spesso la bocca nei vari ambiti della formazione e del management, assume qui un’altra e più ampia dimensione.
Il gioco sembra diventare l’unica dimensione possibile, l’unico linguaggio capace, oggi, di tradurre il reale. Pare che l’uomo si sia stancato di percorrere il mondo in profondità, che non abbia più voglia o tempo di comprenderlo in verticale e che, anzi, abbia scoperto un modo assai più efficace, utile, vantaggioso e pure divertente di attraversare ogni cosa. Che si tratti di lavoro o di relazioni umane, di leggere un’opera d’arte o di scegliere in quale ristorante trascorrere il sabato sera.

Scivolando sul mondo

È la vittoria della superficialità: un’altra conseguenza del movimento anti-Novecento, secondo Baricco. Superficialità intesa come un modo di scivolare in velocità sulle cose, su un gran numero di cose diverse nello stesso momento, finendola una volta per tutte di ostinarsi a scavare a fondo in ognuna di esse.

A guardalo bene, il Novecento aveva iniziato a minare la profondità del “vero” già ai suoi esordi, manifestando un’evidente insofferenza verso i sacerdoti e i loro riti. Solo per restare in ambito letterario e umanistico – affari che più interessano, naturalmente, a Baricco– e fare un paio di esempi, pensiamo ai futuristi, pensiamo a Montale che se la prende coi “poeti laureati” in quello splendido manifesto della sua epoca che è I limoni; pensiamo a tutta la storia dell’arte del Ventesimo secolo, quando la realtà ha iniziato a essere destrutturata e ricodificata in linguaggi nuovi, tradotti in “assetti dinamici” destinati ad altre velocità.

Scarpe da corsa

Superficialità intesa, quindi, non come un modo più banale e deteriore di affrontare il mondo, ma come un cambio di passo nella dinamica del nostro vivere. Un cambio di velocità, appunto, un modificarsi della “carrozzeria” dell’uomo e dei suoi mezzi per realizzare se stesso.
Superficialità come elemento di design, come insieme di caratteristiche aerodinamiche che consentono all’uomo, ai suoi linguaggi e, eccoci al punto, ai suoi strumenti di raggiungere prestazioni prima inimmaginabili. La rivoluzione digitale, che a uno sguardo distratto può sembrare una roba da barbari incoscienti, da nerd svogliati e un po’ tardi di mente, rappresenta in realtà una svolta epocale che mette a disposizione di tutti strumenti dalle capacità straordinarie.
Come quando abbiamo inventato la ruota o abbiamo imparato a usare il fuoco. Una roba così: in grado di cambiare le sorti dell’umanità intera e di essere annotata, millenni dopo, come cruciale momento di svolta nei libri di storia.

Sì, questo “cambio di assetto” ha pure i suoi lati negativi, le sue implicazioni distruttive. Come la deriva verso un individualismo di massa. Ma fa parte del gioco: siamo ancora in una fase di sperimentazione seppur matura, sembra dirci Baricco, ci vorrà tempo per correggere gli effetti collaterali, ma arriveremo anche a questo.
Adesso che il mondo si è messo le scarpe da corsa, non è il momento di farsi troppe domande; se vogliamo restare a galla, bisogna mettersi a correre pure noi, abbandonando zavorre inutili e, soprattutto, modificando il proprio passo. Chi non capisce questo e non lavora al proprio assetto aerodinamico e a quello dei propri strumenti, è fuori dal gioco e dalla mappa di questa nuova super-umanità.

Che cos’è lo storytelling, oggi?

Con il concetto di “verità-veloce”, Baricco riprende in mano anche il cuore della sua carriera e della sua stessa identità e, nei capitoli finali di The Game, arriva al cuore della questione, quella che più interessa anche a noi: la comunicazione.
Abbiamo ormai fatto scorpacciate de storytelling in mille salse, ognuno lo spiega a modo suo girando attorno a concetti e definizioni antiche quanto l’uomo. Pare proprio che, oggi, sia la forma senza la quale sia più possibile vendere, trovare lavoro e ricavarsi un’identità nel vorticare impazzito della realtà ai tempi del web. Eppure, dovessi dirti che cosa sia esattamente lo storytelling, pur avendo letto decine di libri sull’argomento, pur arrivando da lunghi studi umanistici con numerose puntate nell’informatica, pur avendo abbassato la testa per anni su testi di ogni tipo, non saprei da che parte cominciare. Come una nebbia, quando provo a stringerla in pugno non mi resta che aria, umida e appiccicosa. “Si sente”, lo storytelling, ma non si capisce dove sia il nocciolo, la parte solida e immutabile della sua verità.

Finalmente, in The Game Baricco, quando ci mette davanti la sua mappa di questa nuova umanità, arriva a darci una definizione di storytelling convincente. Nebbiosa anche questa, ma più stringente e quindi, a suo modo, efficace. Ci fa vedere che giro ha fatto, lo storytelling, e ci indica pure questo col dito.

Lo storytelling non è una cosa che confeziona, o trucca, o traveste la realtà: è una cosa che fa parte della realtà, è una parte di tute le cose che sono reali. Volete una formuletta che vi aiuti a metabolizzare meglio questo concetto? Eccola: sfilate via i fatti dalla realtà e quel che resta è storytelling. […] Lo storytelling fa parte della realtà e non sempre è il racconto di una storia.

Parole aerodinamiche

Baricco stringe qui il cappio attorno allo storytelling, ma ancora non ci siamo del tutto.
Per catturarlo definitivamente, entra in gioco la straordinaria analisi di The Game e, su tutti, il concetto di “verità-veloce” che può essere compreso soltanto leggendo l’intero libro.
Ed eccolo qua, uno dei suoi capolavori più riusciti. Una definizione che davvero ci dice che cosa sia lo storytelling oggi. Non al tempo di Omero né di Dante né di Manzoni o delle prime pubblicità della Barilla. Esattamente oggi, alla maturità della rivoluzione digitale, sulla soglia degli anni Venti del Ventunesimo secolo:

Storytelling è il nome che diamo a qualsiasi design capace di dare a un fatto il profilo aerodinamico necessario per mettersi in movimento.

Dunque, scrivere oggi non è solo un fatto di contenuti e di rete, come molti ci insegnano. Serve qualcosa di più: serve intendersi anche di design, di progettazione dinamica, di forze velocità e attrito.
Le parole sono forze, leve e molle, corde e pulegge con le quali si solleva e si mette in circolo la realtà. Fare un buon lavoro da storyteller significa dare la spinta necessaria ai contenuti affinché raggiungano le giuste correnti e arrivino esattamente là dove sono stati progettati per arrivare.
È un fatto di finalità, movimento e velocità. La creazione umanistica c’è ancora, la follia da poeta pure, ma ha tutt’altra dimensione, oggi: deve dividersi lo spazio con una componente “ingegneristica”, senza la quale ogni atto creativo è vano, fine a se stesso e, quel che è peggio, condannato a una vita più breve di quella di una farfalla.

Contemporary humanities

La domanda che ora sorge spontanea, giunti sulle vette più alte del Game, laddove la vista spazia chiara su ogni cosa, non può essere che questa: che fine farà l’humanitas, intesa proprio in senso latino ovvero come capacità e volontà dell’uomo di mantenersi umano? Ci sarà ancora spazio per l’umanesimo e per chi si professa umanista?

Senza dubbio, anche per gli “umanisti in rete” la sopravvivenza sarà demandata alla capacità di ognuno nel saper adattare il proprio design, dalle forme così antiche, a quelle aerodinamiche della nuova comunicazione, alle forme superficiali delle “verità-veloci”. Il gap tra le discipline umanistiche e l’uomo Terzo millennio, che oggi appare evidente anche a chi di umanesimo non ne capisce un’acca, non è dovuto all’assetto aerodinamico del web, ma alla stupida ottusità di una “scienza” che si rifiuta ancora, categoricamente, di aprire gli occhi e accettare la realtà per quella che è.

Gli umanisti che oggi possono permettersi di restare arroccati sulle proprie torri hanno le ore contate. L’anacronismo li ridurrà pelle e ossa, come gli abitanti di una città asserragliata da un lungo assedio e presa, finalmente, per fame. Gli altri, quelli che ancora si domandano quale sia il proprio posto nel mondo, dovranno scendere i gradini e rimboccarsi le maniche per ricominciare a decifrare la “grammatica del presente”, aiutando gli uomini a essere se stessi, tornando a fornire loro le chiavi per riconoscersi ogni giorno di fronte allo specchio.

Ma non ci dice solo questo, Baricco: si azzarda a profetizzare altro, in un momento di visionario ottimismo. Le considerazioni alle pagine finali, per me, valgono l’intero libro.
Spero che tu abbia ragione, caro Alessandro. Voglio credere che il tuo occhio, adesso che gode della prospettiva delle aquile in volo, abbia visto giusto, ancora una volta.
Ci sono tutti i presupposti per credere che sarà una sfida emozionante, per gli umanisti digitali che vorranno rimboccarsi le maniche: andiamo a incominciare…

Più di ogni altra cosa, il Game ha bisogno di umanesimo. Ne ha bisogno la sua gente, e per una ragione elementare: hanno bisogno di continuare a sentirsi umani. Il Game li ha spinti a una quota di vita artificiale che può essere congeniale a uno scienziato o a un ingegnere, ma è sovente innaturale per tutti gli altri. Nei prossimi cento anni, mentre l’intelligenza artificiale ci porterà ancora più lontani da noi, non ci sarà merce più preziosa di tutto ciò che farà sentire umani gli uomini.