Nella comunicazione di marketing ci chiediamo spesso quanto i nostri testi siano efficaci, quale sia il peso delle parole nei nostri post, negli articoli di blog e nelle mail che scriviamo ogni giorno, se le frasi che abbiamo appena pronunciato con i colleghi o coi clienti siano davvero “arrivate”. Oggi più che mai, quando in molti sentenziano la crisi parola a fronte del nuovo potere di immagini, video e stories, essere consapevoli della capacità comunicativa che le proprie parole hanno nei confronti di chi ci legge o ci ascolta fa la differenza. Non soltanto al lavoro: in qualsiasi occasione di dialogo. Peso ovvero forza, capacità di penetrazione nella mente di chi è destinato a riceverle, del mio target.
Qual è, dunque, il peso delle mie parole?
I numeri delle parole
Grazie al web, possiamo rispondere a questa domanda. Solo
immaginarlo, venti o trent’anni fa, sarebbe stato pura fantascienza. Forti della
straordinaria mole di dati che possiamo desumere dagli insight di vario tipo – che si tratti di capire gli effetti di un
post sui social network, di un articolo di blog o l’efficacia di una landing
page – possiamo finalmente avere la percezione delle “parole parlanti” e di quelle “parlate”. Cioè delle parole dotate
di un peso, una forza comunicativa efficace, e di quelle di cui potremmo anzi
dovremmo fare a meno, poiché superflue, prive di un effetto.
Per chi volesse prendere confidenza con gli strumenti che consentono di gestire
e dominare questi numeri, ci sono letture come questa; ma
sono ormai tanti i testi sugli analytics, basta googlare.
Sono questi numeri a darci la misura dell’effetto delle nostre parole: è da questa misura, dalla fotografia che resta impressa in negativo nelle maglie della web analysis, che possiamo dedurre il peso delle parole.
Filtriamo i testi che funzionano, che ci portano il traffico e i numeri desiderati. Buttiamo il resto e osserviamo le parole che abbiamo usato: che cosa hanno di così speciale, perché queste sì e le altre no? Si può dedurne una formula?
Certo, o almeno questa è la “formula” che ho dedotto dalle mie innumerevoli prove. Dai tanti testi messi online, al netto di quelli che non hanno funzionato come avrei voluto. Si tratta di una “formula” teorica, i cui membri sono difficilmente quantificabili, ma è funzionale a capire dove e come dobbiamo investire le energie per migliorare la nostra comunicazione di marketing. Eccola:

Aderenza
Il primo parametro da considerare è l’aderenza in funzione del target,
del lettore al quale voglio rivolgermi.
Aderenza significa unione, vicinanza, condivisione
di codice linguistico e, soprattutto, di significato. Significa usare le
parole come le usa lui, il mio lettore ideale, la mia reader persona. Significa che se scrivo gatto intendo non soltanto l’animale che in questo momento tenta di
salirmi sulla tastiera cospargendo di pelo la scrivania, ma soprattutto il
concentrato di sensazioni ed emozioni che questa parola suscita nel mio target.
Facile a dirsi, impossibile a farsi; a meno di conoscere il target alla
perfezione. Ecco perché devo avvicinarlo
il più possibile, sentire il suo odore e farlo mio, seguire la sua ombra, immergermi
nei suoi problemi, desiderare le stesse cose, sognare gli stessi sogni.
Essere nelle sue scarpe, come dicono gli inglesi.
Impossibile perché ciascuno di noi conserva la sua irriducibile e particolare
singolarità, e ogni parola sfuma nelle diversità di ogni esperienza, di ogni
vita vissuta. Ma posso avvicinarmi al “suo” significato di gatto, affinando l’osservazione e l’ascolto, che oggi potenzio
proprio attraverso i numeri che il web mi restituisce.
Specificità
Il secondo parametro da implementare è la specificità delle mie parole in funzione dell’oggetto di cui voglio parlare. Vado dritto al sodo, uso termini specifici e calzanti: elimino tutto ciò che è “generale” e privo di spessore; è un inutile impoverimento del mio testo, un modo per raffreddare la preziosissima attenzione del target.
Essere specifici, relativamente all’argomento e sempre in
funzione della particolare visione che di quell’oggetto ha il nostro target,
vuol dire identificare le
parole del pain e quelle del gain. Significa premere i tasti che,
come un giocattolo, muovono le membra del mio lettore.
Difficile? Certo che sì, ma è più semplice dell’aderenza. Ci aiuta, ad esempio,
uno strumento come quello descritto in questo
articolo. Tradotto in linguaggio di marketing, significa lavorare in inbound:
individuare i contenuti giusti e approfondirli secondo la visione del target.
Lato SEO, essere specifici vuol dire andare alla ricerca delle long-tail keywords, indagare i trend di
ricerca, scavare nella specificità degli argomenti e dunque delle parole chiave
necessarie a identificarli.
Tempo
È il demone contro cui lottiamo, tutti, ogni giorno di più.
Il tempo di lettura necessario per
arrivare alla conclusione del testo.
Il nostro lettore non ha tempo, chiunque esso sia. Ci legge davanti alla
macchina del caffè, quel mezzo minuto prima del bip e del bicchierino bollente, ci scrolla sulla tazza del wc,
mentre aspetta il bus o il partner in ritardo, parcheggiato in doppia fila nella
piazza più trafficata della città, con un occhio allo specchietto e l’altro all’orologio.
E quei pochi attimi di attenzione dobbiamo contenderceli con la folla dei
contenuti che gli algoritmi e i motori di ricerca gli propinano
ininterrottamente.
Più impieghiamo parole “vuote” cioè prive di significato specifico e non
aderenti al target e allunghiamo il brodo, più allontaniamo il lettore dal
nostro messaggio e dall’ambita conversione alla call to action. Non ci sono scorciatoie: occorre rimboccarsi le
maniche e lavorare sodo per ottenere una
comunicazione chiara, sintetica e specifica, che arrivi al dunque il prima
possibile – ma senza rinunciare a narrare e, soprattutto, ad emozionare.
Ecco perché in questa ipotetica formula del peso delle parole,
il tempo non può che essere al denominatore. Al crescere del tempo necessario a
leggere, diminuisce la forza delle mie parole.
Lottare contro il tempo significa lavorare
sulla sintassi, sulla struttura del testo. Significa snellirlo non solo nel
numero dei termini, ma anche e soprattutto nei passaggi logici, prediligendo la
coordinazione piuttosto che la subordinazione. Significa oliare la consecutio temporum, evitare le
allitterazioni e tutto ciò che è cacofonico, significa preferire la costruzione
“naturale” soggetto + verbo + complemento, e tante altre cose che piacciono
tanto a quei nerd dei linguisti.
Dare più peso e quindi forza alle proprie parole nella comunicazione di marketing richiede impegno, dedizione e costanza. E tanto, tanto esercizio. Né più né meno come sviluppare bicipiti, addominali e quadricipiti. Occorre individuare gli attrezzi e gli strumenti giusti, meglio se a fianco di un trainer che sappia consigliarci, facendoci risparmiare tempo (beh, anche per noi copy è prezioso).
Forza, iniziamo a riscaldarci. Al lavoro!