Immagina di essere al volante. Stai guidando la tua automobile verso una meta, vicina o lontana non importa, immagina di andare dove desideri. Ogni cosa è sotto controllo: l’asfalto fila liscio sotto le ruote, le mani tracciano dolcemente la traiettoria lungo le curve, acceleri e deceleri quanto serve. Tutto funziona alla perfezione, presto arriverai a destinazione.
Ecco, adesso immagina di fare tutto questo senza i freni.
Proprio così: è scomparso il pedale del freno, e pure la leva del freno a mano. Scommettiamo che non arrivi sano e salvo?

A che serve la punteggiatura?

Questo è quello che succederebbe a un testo e alla scrittura, se all’improvviso venisse a mancare la punteggiatura. Non puoi più “frenare” ovvero modulare la velocità di lettura, rischiando di “far schiantare” il tuo lettore in blocchi di testo incomprensibili.
Incomprensibili perché, dato che nel modo in cui conduci le frasi sono nascoste anche informazioni logiche, “perderai pezzi” per strada e chi ti leggerà, probabilmente, non capirà esattamente quello che volevi dire.
Infatti, la punteggiatura serve a:

  • dare un ritmo alla frase, proprio come le pause in un pentagramma, e dunque regolare l’andamento melodico del testo;
  • tessere i legami logici tra gli elementi della frase ovvero dare una struttura sintattica al testo, cioè creare informazioni per offrire una “mappa” del testo al lettore.

Questo significa che, se non usi correttamente la punteggiatura:

  1. costringi il lettore a una “corsa” accidentata lungo il tuo testo, rischiando di farlo uscire con le ossa rotte o di farlo perdere chissà dove;
  2. comprometti la comprensione del significato del testo: il lettore capirà poco di quel che volevi dirgli, fraintendendo informazioni importanti.

Un bel guaio!
Ecco perché è importante conoscere le basi per usare correttamente la punteggiatura.
Se non hai le idee ben chiare non preoccuparti: infatti, se è vero che esistono regole più o meno ferree per gli altri componenti della scrittura, per la punteggiatura ci siamo sempre un po’ arrangiati. Le regole sono state spesso dettate dall’uso più che dai grammatici, e non sono mai state così chiare. Insomma, non è colpa tua!
Vediamo allora insieme almeno le regole base, quelle cui possiamo attenerci per garantire un viaggio tranquillo al nostro lettore.

Virgola

Indica una pausa breve, una lieve “frenata”.

È senza dubbio il segno di interpunzione più usato, perché:

  • in un periodo, separa proposizioni di vario tipo;
  • in una frase, separa gli elementi che stanno sullo stesso piano logico,

Ho mangiato un panino al prosciutto, uno con la bresaola, due alla mortadella e un pezzo di focaccia. Sai, avevo un po’ fame.
Nella prima frase la virgola separa i vari complenti oggetto, cioè gli elementi con uno stesso soggetto logico; nel secondo periodo (NB: separato dal precedente con un punto), la virgola è un semplice divisore tra le due preposizioni del piccolo periodo.

La virgola può essere usata anche:

  • negli elenchi di parole;
  • prima e dopo un inciso;
  • prima e dopo un vocativo o un’apposizione (soltanto dopo se questi elementi sono in cima alla frase);
  • in un periodo, per separare frasi coordinate per asindeto, cioè senza l’uso di congiunzioni;
  • per separare altre proposizioni coordinate e subordinate dalla principale.

La virgola NON deve essere usata:

  • tra soggetto e verbo (salvo se fra questi si frappongono altri elementi, ma occorre prestare molta attenzione e valutare caso per caso); tra verbo e complemento oggetto;
  • tra un nome e il suo aggettivo;
  • in un predicato nominale, tra il verbo e il nome o l’aggettivo che accompagna

Punto

È una pausa forte, un vero e proprio stop. Quando usiamo il punto, ci fermiamo e mettiamo la macchina in folle, per intenderci.
Si usa per cambiare argomento oppure per introdurre un nuovo argomento sullo stesso piano logico del primo; in ogni caso, sempre quando è necessario marcare una pausa decisa.

Quando lo stacco dalla frase precedente è netto, deciso, si va a capo. Il consiglio è di non abusare con l’andare a capo – diciamo la verità: un certo modo di scrivere narrativa tutto pieno di a capi per “fare il duro”, oggi avrebbe pure un po’ stancato.

Il punto si usa anche al centro di parole contratte (F.lli Bianchi per Fratelli Bianchi) e alla fine di abbreviazioni (dott. Rossi). Si faccia attenzione: quando una frase termina con una parola abbreviata, cioè che si chiude con un punto, non c’è bisogno di inserire anche il punto finale. Ad esempio: Ho controllato olio, liquido di raffreddamento, freni, pressione delle gomme, ecc. (e non …pressione delle gomme, ecc..)

Punto e virgola

Si definisce come una pausa più intensa della virgola, ma meno intensa del punto. Come dire, una “frenata” un po’ più decisa di quella data con la virgola, ma non uno stop vero e proprio.
Oggi si usa sempre meno, al punto che presto potrebbe estinguersi dall’uso. La regola lo prevede sia per dividere proposizioni coordinate e subordinate all’interno di periodi particolarmente complessi, sia per separare gli elementi di enumerazioni o elenchi.
Insomma, il suo uso è spesso demandato al gusto personale e si raccomanda sempre di non abusarne.
Da un punto di vista sintattico, il punto e virgola ha una funzione piuttosto raffinata: separa frasi con diverso soggetto logico all’interno dello stesso periodo. L’esempio tratto da Fogazzaro e ripreso dalla Crusca resta uno dei più rappresentativi: il capo gli s’intorbidò di stanchezza, di sonno; e rimise la decisione all’indomani mattina.

Due punti

Sono una pausa intensa con preciso valore sintattico: segnalano che quello che segue nella frase è un chiarimento, una precisazione, un’illustrazione di quello che è stato appena detto.

Oltre questa funzione, i due punti introducono un discorso diretto oppure un elenco.

In realtà, la funzione di questo segno di interpunzione è assai più complessa. Luca Serianni, linguista e filologo di nota fama, individua quattro diverse funzioni dei due punti:

  1. sintattico-argomentativa: i due punti introducono l’effetto, la conseguenza logica di quanto appena detto;
  2. sintattico-descrittiva: i due punti esplicitano i rapporti dei vari elementi di un insieme, cioè che stanno sullo stesso piano logico;
  3. appositiva: i due punti introducono una frase che funge da apposizione alla precedente, proprio come accade con l’apposizione a un nome;
  4. segmentatrice: i due punti introducono un discorso diretto – e dunque sono usati in combinazione alle virgolette o agli apici.

Usiamo i due punti sfruttando appieno le potenzialità di questo segno. Oggi è sempre più raro trovarne, soprattutto in rete; quasi temessimo che siano d’impiccio. Si tratta invece di un segno importante e molto utile: rappresentano una pausa decisa ma ancora “gentile” e quindi “non traumatica” per il lettore, che arricchisce il testo con importanti informazioni logiche, come abbiamo appena visto grazie a Serianni.
Viva, quindi i due punti: nel limite di un corretto uso, non esitiamo a farli nostri!

Punto interrogativo

È una pausa forte che da usare esclusivamente al termine di una frase interrogativa diretta (porlo al termine di una interrogativa indiretta è un errore!).
A livello di intonazione si fa sentire: determina, infatti, un andamento ascendente, a salire. E, per questo, comporta una certa “fatica” nella lettura.

Punto esclamativo

Al pari del precedente e del punto fermo, è una pausa forte: si usa a chiusura delle interiezioni e per esprimere stupore, meraviglia o sorpresa.
Può essere usato dopo il punto interrogativo, per esprimere una interrogativa diretta con l’enfasi dei sentimenti appena menzionati. Diversamente, dal punto interrogativo, quello esclamativo determina un andamento discendente del tono della frase.

Fai attenzione: non c’è bisogno di mettere una trafila infinita di punti esclamativi dopo una frase, anche quando vogliamo dargli un’enfasi spropositata. La regola è di usarne uno soltanto oppure tre di fila, non di più. Ricorda: uno oppure tre – non due, non quattro o cinque o più.

Punti di sospensione

Croce e delizia di molti, le chat e i social tendono a farci abusare di questo segno, talvolta pure in forme “a risparmio” dotate di soli due punti (obbrobrio, errore da evitare come la peste).
I punti di sospensione sono sempre e soltanto tre e indicano la sospensione del discorso, cioè rappresentano una pausa molto lunga, più lunga del punto.
Oggi, l’uso informale che ne facciamo in chat e sui social network ne sta cambiando il significato: sono sempre più impiegati per aggiungere mistero, suspense o aspettativa, anche semplice attesa. Si tratta di un uso erroneo ma talmente diffuso che, in questo e solo in questo contesto (!), può essere ammesso con licenza: il lettore (ormai e ahimè) ne comprende il nuovo significato, mettiamoci l’anima in pace.
Il consiglio è di essere consapevoli del corretto uso e, almeno nei testi più formali inclusi quelli sul web, usare i punti di sospensione come regola prescrive, ovvero solo per sospendere il discorso.

NB: I segni di interpunzione che seguono da qui in poi non introducono una pausa, più o meno marcata, nell’andamento del discorso, ma soltanto (si fa per dire) funzioni logiche.

Trattino

Si tratta di un segno di punteggiatura usato piuttosto selvaggiamente, oggi. In pochi sono infatti consapevoli della sua doppia natura e, complici i correttori automatici dei più diffusi editor di testo, l’uso dei trattini è in preda a un vero caos.
Ci sono due tipi di trattino:

  • trattino lungo: si usa per introdurre un discorso diretto al posto delle virgolette, oppure per racchiudere un inciso al posto delle virgole o delle parentesi;
  • trattino breve: si usa per unire parole diverse in parole composte di occasionale o recente formazione oppure particolarmente complesse; per andare a capo (spezzando la parola secondo la divisione sillabica); per indicare una relazione di vario tipo tra due termini, siano essi nomi, comuni o propri, oppure aggettivi.

Virgolette

Si dividono in tre tipi:

  • virgolette alte: “parola”;
  • virgolette basse o sergenti: «parola»;
  • apici: ‘parola’.

Virgolette alte e basse hanno la stessa funzione: circoscrivere un discorso diretto o una citazione. Regole di uniformità o di scelta editoriale ci diranno quale tipo usare. Si usano anche per sottolineare un significato improprio del termine che racchiudono, ovvero per prendere le distanze dalla parola (non è un caso che, anche parlando, diciamo “tra virgolette” per anticipare espressioni che non vogliamo fare nostre).

Gli apici si usano più raramente per indicare che di quella parola vogliamo evidenziare il significato; oppure all’interno di un discorso diretto (già introdotto quindi da virgolette alte o basse) per indicare parole usate in modo improprio o dalle quali il parlante vuole prendere distanza, in un gioco di “annidamento” di virgolette, coerentemente alle scelte editoriali o stilistiche che abbiamo adottato per il nostro testo.

Parentesi tonde e quadre

Le parentesi tonde introducono un inciso, dunque si usano alternativamente a trattini e virgolette.

Le parentesi quadre si usano per ulteriori incisi all’interno di incisi racchiusi da parentesi tonde (quindi, contrariamente a quanto avviene in matematica, nei testi la parentesi tonda precede quella quadrata); oppure nelle citazioni indicano testo omesso, includendo al loro interno i tre puntini: […].

Sbarretta e “pipe”

La sbarretta (barretta obliqua, detta anche slash) servono per indicare alternativa tra due possibilità (il caso più diffuso è, senza dubbio, l’alternanza tra le congiunzioni e/o in certe scritture che sanno di “burocraticatese”) e si usano all’interno delle date in formato numerico.
Con la diffusione del web, si è andata ad affiancare alla sbarretta anche il “pipe” (in inglese, letteralmente ‘tubo’), cioè la barretta verticale: nato nei menù dei siti web, l’uso di questo segno si sta diffondendo anche ad altri contesti grafici per separare i vari elementi di una serie sullo stesso piano logico, o meglio le opzioni disponibili all’interno di un elenco dal quale scegliere.

Asterisco

Si usa per indicare un’omissione in sequenze di tre: non uno di più, non uno di meno.
Si può usare anche per indicare una nota (a piè di pagina oppure al termine del documento) che esuli dal conto ordinario delle note – che saranno invece indicate numericamente.

Per informazioni più dettagliate, si consiglia la lettura di manuali di stile come questo, o un buon manuale di grammatica come questo.