Che si condivida o meno, difficilmente si può restare indifferenti all’effetto della comunicazione mediatica di Greta Thunberg. Dai primi “scioperi” per il clima agli interventi all’ONU, i messaggi e la vita di questa ragazza fuori dall’ordinario hanno influenzato profondamente non soltanto la sensibilità di tutti noi verso le questioni ambientali, ma il modo stesso in cui le comunichiamo.

Lo dimostra il Rapporto ECO-MEDIA 2019 di Pentapolis Onlus, osservatorio permanente sull’informazione ambientale in Italia. Analizzando le notizie proposte nelle edizioni prime time dei principali notiziari nazionali (Ra1, Rai2, Rai3, Rete4, Canale5, Italia1 e La7), è emerso che nel 2019 sono tati 3.773 i servizi dedicati all’ambiente su un totale di 36.896: dunque, il 10% delle notizie; un dato in lieve crescita rispetto a quello dell’anno precedente.
Il fatto rilevante non è l’incremento complessivo di tali notizie, quanto il taglio con cui sono state date. Questa tipologia di informazioni è suddivisa in quattro grandi classi:

  1. Disastri naturali: cronaca focalizzata sul racconto degli effetti diretti e indiretti prodotti da catastrofi naturali quali terremoti e tsunami, eruzioni vulcaniche ed eventi atmosferici straordinari;
  2. Condizioni meteorologiche: notizie incentrate sull’evoluzione delle condizioni del tempo atmosferico;
  3. Temi ambientali: notizie che evidenziano il rapporto attivo, con effetti positivi oppure negativi, dell’uomo sull’ambiente naturale;
  4. Natura e animali: narrazione per lo più documentaristica del mondo animale oppure delle caratteristiche di un dato ambiente o paesaggio, incluso il rapporto tra questi e l’uomo.

Precedentemente, l’enfasi mediatica dava risalto alle prime due categorie di notizie.
Dopo l’esplosione del “fenomeno Greta Thunberg” abbiamo assistito a un radicale cambio di paradigma: nel 2019 hanno prevalso le notizie legate ai temi ambientali, con il 42% del totale (1.583 notizie).
Da un “taglio negativo” ovvero basato sulla narrazione di disastri, emergenze e condizioni climatiche estreme subite tanto dalla popolazione quanto dagli ecosistemi, siamo passati a un “approccio positivo” cioè mirato a evidenziare il ruolo dell’uomo nel miglioramento delle condizioni ambientali presenti e future: le notizie legate a iniziative per la tutela ambientale sono state le più battute (43%), seguite da quelle inerenti i cambiamenti climatici (31%), le denunce su casi di inquinamento (16%) e i dibattiti sulle problematiche legate alla gestione dei rifiuti (10%).

Dunque, una drastica inversione di rotta che riflette un diverso modo di concepire noi stessi in relazione alle questioni ambientali. Estenuati da una perpetua e parossistica narrazione dell’emergenza, ci riscopriamo all’improvviso capaci di migliorare le nostre condizioni e quelle del pianeta. Per quanto possa sembrare bizzarro, ci è voluta un’adolescente con un impermeabile giallo che si rifiutasse di andare a scuola il venerdì, per convertirci a una nuova comunicazione ambientale positiva.

Le dinamiche del marketing ce lo insegnano: superata la fase del pain, cioè quella in cui è conveniente proporre una comunicazione focalizzata a indurre nel target il “dolore” per una situazione di pericolo al fine di ottenerne l’attenzione, è tempo di passare al gain, ovvero alla proposta positiva di alternative e soluzioni con le quali ristabilire un nuovo ordine pacificato della realtà.
Catastrofi e cataclismi, situazioni di emergenza e scenari apocalittici “fanno notizia” ma alla lunga innescano fenomeni contrari a quelli desiderati: allontanano i destinatari della comunicazione dagli obiettivi verso i quali vorremmo condurli – sempre che ve ne siano. Il tono da apocalisse mirato al click e alla visualizzazione, alla lunga, è fine soltanto a sé stesso: nell’era della comunicazione digitale, i prosumer lo hanno imparato velocemente a loro spese.

Lo dimostra un altro fenomeno sociale e politico ma, prima di tutto, mediatico nato in parallelo al nuovo sentimento green innescato dall’iniziativa di Greta Thunberg, a questo profondamente connesso: le sardine.
Anche qui, come ho evidenziato in questo articolo, emerge il bisogno di una comunicazione nuova, attiva e propositiva, alla quale corrispondano azioni concrete, capaci di agire positivamente sulla realtà. A questa esigenza, si somma la precoce comprensione dei nativi digitali per le dinamiche stesse della comunicazione, che li rende ipersensibili a certe macchinazioni: aspetto di estrema rilevanza per chi vuole dialogare con loro.

La comunicazione ambientale sembra così rispondere a queste nuove regole, forte di una maturità conquistata anche grazie alle iniziative del movimento Fridays For Future. Una nuova empatia, globale ed ecosistemica, sta progressivamente spostando non solo la sensibilità di milioni di cittadini in tutto il mondo ma anche i loro bisogni e desideri e, dunque, gli interessi dei mercati che rappresentano. Di conseguenza, mutano anche le dinamiche della comunicazione mediatica – e di marketing – che da loro nasce e a loro si rivolge: il Green New Deal è più vicino di quanto sembri.