Incentivare l’“economia verde” in tutti gli Stati membri per raggiungere le emissioni zero entro il 2050: questo l’obiettivo del Green Deal europeo. Il messaggio del vicepresidente della Commissione europea Vladis Dombrovskis non lascia spazio alle incomprensioni: “Quando si fanno investimenti occorre pensare verde”. Aziende e organizzazioni avvisate: decarbonizzazione e sostenibilità sono le parole chiave per chi vuole conquistare incentivi e mercati.

Il Green Deal europeo in pillole

In estrema sintesi, il Green Deal europeo vuole migliorare lo stato di salute dell’ambiente e dei cittadini rendendo i propri Stati membri climate-neutral ovvero riducendo le emissioni e le fonti di inquinamento e, al contempo, sviluppando una nuova economia capace di generare nuovi posti di lavoro. Ambiente e sviluppo economico non sono mai stati così vicini:

The European Green Deal is our new growth strategy. It will helpus cut emissions while creating jobs.
(Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea)

We propose a green and inclusive transition to help improve people’s well-being and secure a healthy planet for generations to come.
(Frans Timmermans, Vicepresidente Esecutivo della Commissione Europea)

Tutto ciò si traduce in azioni che possiamo raggruppare in cinque grandi ambiti:

  1. Clima: L’Unione Europea punta a diventare climate-neutral, cioè a emissioni zero, entro il 2050. Per far questo, proporrà una legge comunitaria sul clima che non soltanto tradurrà in obblighi e prescrizioni questa volontà, ma indicherà la strada ai nuovi investimenti per enti e imprese;
  2. Energia: In questo ambito, l’obiettivo è la totale decarbonizzazione del sistema energetico europeo. A oggi, infatti, la produzione e l’uso di energie più del 75% delle emissioni di gas serra: l’affrancamento dal petrolio e dalle altre fonti fossili è il prerequisito essenziale per contrastare il cambiamento climatico;
  3. Costruzioni: Uno dei punti cardine del Green Deal dovrà necessariamente coinvolgere anche le strutture edilizie pubbliche e private. Il 40% del consumo energetico è, infatti, da imputare all’edilizia: costruire o ristrutturare gli edifici con le tecnologie più avanzate permetterà ai cittadini di ridurre drasticamente i consumi energetici e, quindi, anche le bollette;
  4. Industria: Oggi, soltanto il 12% delle attività industriali europee impiega materiali riciclati nei processi produttivi. Per questo, il Green Deal europeo dovrà incentivare le innovazioni in tutti i settori industriali per realizzare progetti concreti di economia circolare;
  5. Mobilità: I trasporti sono all’origine del 25% delle emissioni di gas serra: un’Europa più green non può prescindere da forme più sostenibili di mobilità pubblica e privata.

Il piano finanziario del Green Deal europeo

Come abbiamo visto, i cambiamenti coinvolgono i principali settori industriali e civili: il volume delle risorse da mettere in campo richiederà necessariamente un lungo periodo di investimenti, da suddividere in più periodi e ambiti. In questa prima fase, il piano economico del Green Deal, consultabile sul sito della Commissione europea, prevede di:

  • stanziare almeno 1.000 miliardi di euro da erogare nei prossimi 10 anni come finanziamenti a sostegno di investimenti sostenibili;
  • creare le condizioni affinché sia i privati sia il settore pubblico investa in iniziative sostenibili tali da intercettare questi incentivi;
  • supportare le amministrazioni pubbliche e i promotori dei progetti per individuare, strutturare e rendere esecutivi tali progetti sostenibili.

Due sono gli strumenti che attuano il Green Deal europeo:

  1. Il piano degli investimenti sostenibili: È suddiviso tra fondi del bilancio europeo, stimati per almeno il 25% del totale ovvero una cifra che ammonta a 485 miliardi di euro fino al 2030, cofinanziamento dei privati e prestiti dalla Banca europea per gli investimenti (BEI), la quale ha già annunciato che il 50% degli investimenti entro il 2025 sarà dedicato a progetti green. L’obiettivo di tali investimenti è suddiviso in due momenti:
    • riduzione del 40% delle emissioni entro il 2030;
    • riduzione del 100% delle emissioni entro il 2050.
  • ll Just Transition Mechanism: Il “Fondo di Transizione Giusta” vuole sostenere le aree che si troveranno, economicamente e socialmente, più in difficoltà durante il periodo di transizione. Pensiamo ad esempio alla Polonia, i cui sistemi energetici sono ancora troppo vincolati al filiera del carbone e della lignite per riuscire a raggiungere il target nei tempi fissati dall’Europa: Varsavia ha, infatti, già espresso le sue perplessità sul Green Deal.
    Il Fondo punta a incentivare nuove tecnologie preservando i posti di lavoro, riducendo dunque quanto più possibile l’inevitabile impatto sociale della transizione: sono previsti 7,5 miliardi di euro da erogare tramite la piattaforma InvestEU con l’obiettivo di innescare ulteriori prestiti dalla BEI e smuovere fondi privati per circa 45 miliardi di euro da destinare a progetti sostenibili.

Un nuovo marketing per una nuova sensibilità

Che cosa implica tutto questo per il marketing? Ci sono delle conseguenze per la comunicazione di imprese, brand e prodotti?
Certamente sì: il Green Deal, da un lato, indica la strada che necessariamente percorreranno i mercati e dunque anche la relativa comunicazione di marketing, dall’altro, evidenzia ciò che sta già succedendo nella mente – e nel carrello – dei cittadini. Pur con una rapidità inaspettata, la Comunità Europea ha dato un segnale concreto ai bisogni emersi nei cittadini in quanto destinatari di una comunicazione mediatica sempre più incalzante, focalizzata su emergenze ambientali di vario tipo.

Tra gli effetti più evidenti della sovraesposizione a una comunicazione ambientale ipertrofica e, talvolta, dai toni apocalittici, c’è la nascita di una nuova sensibilità su scala globale. Lo dimostra la rapida ascesa del plastic-free marketing, solo per citare una delle più vistose svolte green dei più celebri brand.
Una sensibilità che costringe le tradizionali figure professionali, deputate tanto alla produzione quanto al marketing e alla comunicazione, a riconfigurare profondamente le proprie conoscenze e competenze in direzione di una maggiore attenzione alle tematiche ambientali: fino a ieri, difficilmente avremmo concepito la necessita di una figura oggi strategica come l’ecobrand manager.

Oltre la comunicazione della paura

Infine, questa poderosa manovra green sembra imporre un’altra e più importante metamorfosi: stiamo assistendo a un cambio di paradigma del fare comunicazione di marketing. Ci stiamo cioè avviando a una nuova fase in cui, da un primo momento in cui si evidenziano le situazioni di emergenza e di “dolore” ovvero il pain, si passa finalmente a comunicare il gain cioè che cosa possiamo fare per porre rimedio alle varie criticità ambientali.
L’“effetto Greta Thunberg” sulla comunicazione mediatica è il segno più evidente del passaggio alla comunicazione proattiva del “si può fare”.

No pain, no gain è stato il mantra della comunicazione politica e sociale degli ultimi decenni. Se vuoi ottenere l’attenzione e il consenso delle persone, parla alla loro “pancia” attraverso ciò che più le spaventa.
Drew Western ce lo ha spiegato ne La mente politica, e non sono pochi i politici e i divulgatori che hanno fatto tesoro delle sue riflessioni:

“non prestiamo attenzione ad argomenti che non suscitano in noi interesse, entusiasmo, paura, rabbia o disprezzo […]. Più un messaggio è puramente razionale, meno è probabile che attivi i circuiti emotivi che presiedono al comportamento di voto. […] Se volete conquistare il cuore e la mente degli elettori, dovete partire dal cuore, perché altrimenti questi ultimi non proveranno grande interesse per il contenuto della vostra mente”.

Agire sugli stati emotivi dei destinatari della comunicazione, alterandoli sapientemente, è di certo più efficace che parlare alla parte raziocinante del loro cervello, e non solo in ambito politico. Ma questo semplice “trucco” non consente di costruire, altrettanto efficacemente, una strategia positiva di guida nei confronti degli stessi destinatari.
Per trasformarli da ricettori passivi di un messaggio ad attori in grado di proporre e attivare soluzioni ai problemi che ci aspettano nell’immediato futuro, occorre dismettere i panni degli “spaventatori di folle” e investire in formazione e informazione scientifica.

Lo stesso Ministro Costa ha rivolto un appello ai media: è tempo di convertire la comunicazione dell’emergenza in informazione basata su conoscenze scientifiche e fonti verificate. Servono comunicatori-formatori che sappiano divulgare con imparzialità l’informazione ambientale, e anche la comunicazione di marketing dovrà adeguarsi.

Il ruolo del green marketing

Il green marketing sarà sempre più determinante per la crescita di enti e imprese; ma non sarà così semplice.

Come un funambolo eternamente sospeso tra green washing e cronachismo fine a se stesso, il marketer dovrà dotarsi di tutti gli strumenti necessari alla comprensione profonda e interdisciplinare dei fenomeni ambientali, mantenendo l’equilibro necessario a sostenere la fiducia dei consumatori nei confronti del brand.
Un brand la cui narrazione sarà ora focalizzata non più su di sé ma, finalmente, sul proprio ruolo attivo e benefico sull’ecosistema globale.