Finché continueremo a comunicare le ragioni dell’ambiente con i toni apocalittici di novelli San Giovanni di fronte all’apocalisse, non andremo molto lontano. Parola di Antonio Cianciullo, che centra con precisione certosina quella che si prospetta come la sfida più urgente dell’ambientalismo. Ecologia del desiderio, quindi, come un vero e proprio manifesto programmatico: se la comunicazione green vuole avere successo, serve un cambio di tono e di paradigma. Subito, che si sta facendo sempre più tardi.

Lo spauracchio dell’ambiente

Sono passati due anni dalla pubblicazione del saggio edito da Aboca, eppure siamo ancora lì, niente apparentemente si è mosso. Non è bastata Greta Thunberg, non le promesse di un nuovo Green Deal, né il Covid-19 sembra aver fatto maturare in noi una più forte e pacificata consapevolezza ecosistemica.
Cianciullo, grazie alla lunga esperienza di giornalista e scrittore a servizio dell’ambiente, non lascia molto all’immaginazione nel tracciare il quadro, dati alla mano, delle emergenze ambientali che bussano con sempre più insistenza alla nostra porta. Dal riscaldamento globale all’Antropocene, il pianeta ci presenta oggi il conto del nostro fare irresponsabile. Un conto davvero salato: che fare?
La prima reazione spontanea è di gridare al disastro e di tracciare una linea tra chi è in grado di capire e fa qualcosa per cambiare rotta (i buoni) e chi, invece, è sordo alle grida di Madre Natura e non si cura di nient’altro che del proprio orticello (i cattivi). La dicotomia è semplice, a prova di bambino, di quelle che non ci vuole Propp per spiegarla: ma non funziona.
Se, in un primo momento, una comunicazione focalizzata sulla paura, sugli allarmi e sui divieti è stata utile a convogliare l’attenzione mediatica sulle tematiche ambientali, alla lunga rischia di sortire l’effetto contrario. Lo sa bene chi si è dovuto cimentare in diete più o meno impegnative. Non fa gola a nessuno una trafila ininterrotta di limiti e rinunce, non è vero?
Perché è proprio così che abbiamo condotto sino ad oggi la comunicazione ambientale: una litania continua di “siamo contro questo”, di “limitiamo quest’altro”, di “non si fa così”, di “dobbiamo rinunciare a”, di “facciamo a meno di” ad libitum sfumando.

La sfida del limite

Eppure lo sappiamo bene. Conosciamo l’essere umano abbastanza a fondo da capire che non può funzionare. Siamo per due terzi “animali” e per uno soltanto “sapiens”. La nostra mente rettile è progettata per affermare soltanto sé stessa superando i limiti che le si pongono davanti.
Se hai avuto una tartaruga in giardino sai cosa voglio dire: può avere ettari ed ettari della più bella campagna a sua disposizione, eppure, appena si imbatte nella rete di confine prende a seguirla come se non esistesse altro, finché non trova un varco e la attraversa. Non importa che cosa ci sia oltre, la tartaruga deve superare quella maledetta rete e non si dà pace finché non ci è riuscita.

Anche noi siamo fatti così. La favola dell’eterno sviluppo, del progresso a tutti i costi funziona alla grande perché soddisfa la nostra atavica dipendenza dal superamento dei limiti, al punto da farci trasformare in rifiuto tutto ciò che tocchiamo a ritmi sempre più vertiginosi. La circolarità è per noi una condanna, un soffocare nelle stesse putride acque. Una roba da monaco zen che va bene solo nei film in seconda serata. Vendere un’idea del genere all’umanità intera è un’impresa impossibile!

Questo è il primo grande ostacolo che Cianciullo mette a fuoco per passare – davvero – a un’economia circolare, efficace, totale e salvifica. Serve cambiare punto di vista sul limite di quel sistema chiuso in cui siamo confinati, il pianeta Terra, e trasformarlo nell’immagine positiva di una nuova sfida.

L’ambientalismo deve cambiare pelle, dismettere la maschera del burbero bacchettone e vestire quella di una sfida seducente. Dall’ecologia della paura a quella del desiderio:

La soluzione, dunque, è a portata di mano. Possiamo lasciare la strada che conduce al caos climatico e prendere il bivio che ci porta fuori dalla trappola. Per afferrare questa possibilità, per uscire da una routine che per secoli ha distribuito benefici e oggi si è trasformata in minaccia, non basta però il salto tecnologico: bisogna mettere in campo la molla del desiderio.
Cercare alleanze basate sulla speranza, non insistere su divisioni alimentate dalla paura. Di fronte allo sconquasso del quadro politico che ha sostenuto la corsa della crescita lineare serve un progetto in cui gli aspetti sociali, gli aspetti tecnologici e gli aspetti economici si fondano in una proposta di governo della transizione che stiamo vivendo.
Continuare a sventolare il panno rosso del disastro in arrivo senza offrire soluzioni alternative convincenti significa invece annullare la forza del messaggio.

Marketing contro marketing

Confinare l’ambientalismo a una “nicchia di fan della decrescita” è fallimentare. L’ambiente non è una merce di lusso da vendere a un gruppo ristretto di innovatori, le logiche con cui dovremmo comunicarlo sono piuttosto vicine a quelle di un prodotto di massa.
La chiave è proprio qui, nel marketing, inteso come insieme di strumenti capaci di innescare i desideri delle persone, di cambiare il loro punto di vista, di tessere storie capaci di ri-creare incessantemente i valori di una società.

Solo noi possiamo farlo. Perché da qui tutto è cominciato, e non c’è bisogno di aver letto Vance Packard per capirlo: il marketing è al banco degli imputati nella lotta ai disastri ambientali. Noi marketer abbiamo la coscienza sporca: seppure oggi ci adoperiamo per i fini più alti e imbastiamo piani e calendari editoriali con le migliori intenzioni, la “tradizione” pesa sulla nostra anima e, peggio ancora, sulla salute del pianeta.
Ecologia del desiderio indica la strada per il nostro riscatto. Make it sexy, make it simple, make it personal: proprio così, stiamo parlando di ambiente.

A guardare la questione dal lato di Cianciullo, non sembra poi così difficile. Abbiamo soltanto bisogno di bravi narratori con i piedi ben saldi sul presente e gli occhi puntati sul futuro.
Niente più scuse, adesso tocca a noi.