Lo hai notato? Online ci sono molti “dizionari del marketing”, ma ti sfido a trovarne uno che ti dia definizione e differenza tra bisogni e desideri. Sai che cosa significa questo? Che noi marketers stiamo perdendo la bussola.
Lo sa anche il più imberbe studente di marketing, pure un novello social media manager: tutto parte dai bisogni e dai desideri del tuo target e, se non ci tieni un occhio fisso e bene aperto, va a finire che qualcuno più sveglio di te intuisce qualche necessità, dei tuoi clienti, che tu non sei stato in grado di leggere, e allora di’ ciao al fatturato.
Aperta parentesi. Che poi è lo stesso motivo per cui, se qualcuno vuole insegnarti a “vendere i frigoriferi agli eschimesi”,dovrebbero rizzartisi tutti i peli che hai sul corpo, compresi quelli dove non batte il sole. Perché gli eschimesi hanno bisogno di tutto fuorché di frigoriferi né tantomeno dovrebbero desiderarli, e tu sprecherai tempo risorse e credibilità se anche riuscissi nell’impresa. Di questi tempi, inoltre, la tua condotta risulterebbe assai poco etica e “sostenibile” e, fidati, per te alla lunga sarebbero grane. Sei d’accordo con me, che non devi vendere frigoriferi agli eschimesi? Chiusa parentesi.
Bene, facciamo allora un ripasso veloce della differenza tra bisogni e desideri e capiamo perché è così importante nel marketing. Beninteso, non ti offrirò la definizione dei dizionari, per quella googla a piacere e in un attimo hai la risposta.
Ok, facciamo prima: ecco che cosa si intende comunemente per bisogno e cosa per desiderio. Ma, mi raccomando, fai caso a come la differenza tra queste due parole, anche per i lessicografi, non sia così evidente e come, desiderio e bisogno, vivano l’uno dell’altro.
I bisogni e la Piramide di Maslow
Tutti abbiamo in mente la celeberrima – e per molti superata – Piramide di Maslow. Alla base stanno i bisogni primordiali, quelli che garantiscono la sopravvivenza fisica dell’individuo come l’alimentazione, la sicurezza e la riproduzione; più in alto i bisogni evoluti quali quelli sociali di appartenenza e affettività e quelli individuali di conoscenza e realizzazione di sé. Man mano che diamo soddisfazione ai bisogni “bassi” (sempre che ci riusciamo), saliamo fino all’apice. Immagino che in cima alla Piramide di Maslow si goda una sorta di nirvana, una libidinosa pace dei bisogni soddisfatti – ma non so dirtelo perché, personalmente, me la batto sempre ai piani di sotto.
Per dirla con il neuromarketing, due terzi della piramide sono di pertinenza del “cervello rettile” e del “cervello mammifero” – la base e la fascia mediana –, un terzo soltanto (a essere generosi) cioè la parte sommitale è competenza del “cervello sapiens”. Questo significa che per parlare alla stragrande maggioranza dei bisogni dell’essere umano, e sperare di vendergli qualcosa offrendo una soluzione a questi bisogni, non devi affatto “parlare” ma agire ai confini del segno linguistico, ai margini della razionalità. Se desideri addentrarti in questa selva oscura, ti consiglio la lettura di libri come questo.

Quello che non ho
C’è un’altra cosa che devi tenere a mente dei bisogni: nascono tutti da una mancanza, da un vuoto psico-fisico che deve essere colmato, e in fretta. L’essere umano avverte, più o meno consapevolmente, che qualcosa manca nella sua vita e si mette alla ricerca dell’oggetto in grado di colmare questa sensazione di privazione. Che tu abbia bisogno di qualcosa da mettere sotto i denti, di una giacca per l’inverno, di una bella casa in cui magari invitare i tuoi amici nel weekend, di un’automobile di lusso per far crepare di invidia i tuoi colleghi e così via, finché non avrai azzittito quella voce interna che pretende, come un bambino viziato, ciò che vuole non avrai pace.
Questo è il bisogno: la sensazione di una propria mancanza e la spinta a colmarla. Raggiunto l’obiettivo il bisogno si spegne, pulsante su off, soddisfatto e beato come un casanova dopo l’orgasmo.
Esempio volgare ma efficace, perché ti fa capire quanto sia inutile, dopo, “risollevare” il bisogno. Muto, fermo immobile da parer morto, niente da fare: un bisogno soddisfatto è un bisogno perduto per il marketing. Se sei fortunato, si riparte poi con un nuovo bisogno e una nuova soddisfazione, ma tutto ricomincia da capo – anche il lavoro che devi fare per conquistare e soddisfare il bisogno (àrmati di pazienza).
Voglio la luna ovvero i desideri
Con i desideri la faccenda si complica. Kotler li definisce “bisogni plasmati dalla cultura e dalla personalità individuale” e, nonostante potremmo facilmente obiettare che non esiste bisogno umano che non sia influenzato e quindi plasmato dal contesto socio-culturale in cui il soggetto è immerso, questo ci permette, intanto, di capire che esiste uno stretto rapporto tra bisogni e desideri, e che i secondi hanno qualcosa in più rispetto ai primi.
Celebre è l’etimo popolare che vuole la parola desiderio assurgere direttamente al cielo, a significare che stiamo sparando davvero alto. Dal latino de-sidus, cioè “privato delle stelle” e dunque, di riflesso, che si muove alla ricerca delle stelle. È proprio il caso di dirlo: chi desidera vuole la luna.
Fai attenzione: la parola, probabilmente nata in ambito religioso quando dall’osservazione delle stelle si traevano gli “auspici” e quindi si tracciava un “auspicato” futuro, sottolinea da un lato la distanza (incolmabile) tra chi desidera e l’oggetto del desiderio, dall’altro l’attrazione che si instaura tra i due poli del desiderio. Il desiderante tende all’oggetto del suo desiderio come se fosse attratto da un’irresistibile e inspiegabile forza magnetica.
I desideri nel marketing
Già a partire da questo etimo si capisce che è tutta un’altra musica rispetto ai bisogni. Per dare la luna a qualcuno bisogna attrezzarsi davvero bene, ma vediamo anche il bicchiere mezzo pieno: possiamo divertirci e ottenere, lato marketing, molto di più di quanto non è possibile fare andando a caccia di bisogni.
Non per niente un tipo che di marketing se ne intendeva, Franklin Kettering, disse che “la chiave della prosperità economica [per le imprese ovvero tutto il sistema capitalistico] è la creazione organizzata dell’insoddisfazione”.
Correvano gli anni Trenta del secolo scorso ed eravamo solo agli albori di certe “tecniche” di marketing mirate proprio a questo, cioè ad allontanare i clienti dal raggiungimento dei propri desideri inducendoli a reiterare acquisti di fatto inutili, quali ad esempio il fenomeno della moda e l’obsolescenza programmata.
Hai presente l’immagine del cavallo che traina il carretto correndo dietro alla carota appesa al filo? Ecco, questa è probabilmente la sintesi più chiara che potrai avere della funzione dei desideri nel marketing. Cavallo uguale consumatore, carretto che va uguale acquisto, carota uguale oggetto del desiderio, canna da pesca e filo che tengono sospesa la carota uguale marketing. Ed eccoci qua.
Da bisogni a desideri
Ricorda: quando i bisogni sono soddisfatti, la spinta del consumatore all’acquisto si ferma. Semplicemente, non ha più bisogno di altro, tutto adesso è per lui inutile, non ha più motivo di comprare alcunché. Come si riattiva, allora, il bisogno e quindi la voglia di acquistare?
Facendo evolvere le dinamiche tipiche del bisogno in qualcos’altro, appunto in desiderio. Da una spinta limitata e una tantum, a una voglia mai appagata di qualcosa che ci induce ad acquistare e acquistare, ancora e ancora: il sogno di ogni imprenditore!
Ecco come il desiderio sia, di fatto, un bisogno complesso e mai soddisfatto e rappresenti la chiave di volta del marketing contemporaneo. Mi spiego meglio.
Il desiderio è sì una mancanza, al pari del bisogno, ma differentemente da questo ha come oggetto un qualcosa al di fuori di sé. Non ti fa avvertire, cioè, l’assenza di qualcosa relativamente al tuo stato psico-fisico – non hai fame né sete, non hai freddo, non ti senti in pericolo, non ti senti rifiutato dagli altri, ecc. – ma ti proietta verso l’esterno, verso un’esperienza, un vissuto, un processo a te estraneo e senza il quale potresti vivere tranquillamente.
A differenza del bisogno, che funziona proprio come un semplice interruttore acceso-spento, il desiderio non ti porta a una soddisfazione immediata e completa, ti lascia sempre con “la voglia di qualcosa” e ti costringe a muoverti verso una meta che, il più delle volte, non riesci a raggiungere. Oppure, se ti è dato di raggiungerla, non è proprio come te l’aspettavi: il piacere che genera è effimero.
Se il bisogno è un interruttore, il desiderio è una bussola che ti indirizza verso una direzione più o meno definita. L’ago oscilla e indica il tuo nord, ma il cammino che ti separa dal punto di arrivo è tutto da fare e, nel frattempo, può accadere qualsiasi cosa – anche decidere di puntate alla direzione opposta o ricominciare da capo, ancora e ancora.
La relazione del desiderio
La metafora del viaggio è perfetta per rappresentare la complessità e le dinamiche del desiderio. Pensa al viaggio per eccellenza, a Ulisse che torna a casa. Itaca è l’oggetto del suo desiderio e, come suggerisce Kavafis nella celebre poesia, è la nostalgia dell’isola natia a dare senso alla sua stessa esistenza, a rendere il viaggio degno di essere percorso.
Come l’Ulisse di Kavafis, il consumatore punta a Itaca ma è il viaggio che vuole, o meglio il piacere che scaturisce nell’incontro tra la nostalgia dell’oggetto desiderato e le esperienze e le emozioni vissute nel tentativo di raggiungerlo. Tu, con il tuo marketing, sei in grado di condurlo tra ninfe e lestrigoni, tra mostri e divinità, nei recessi dell’oltretomba e tra le braccia di Calipso?
Il desiderio è un viaggio che, proprio grazie al marketing, non ha mai fine. Per questo, dal marketing derivano grandi responsabilità, soprattutto oggi, al crescere del peso di tematiche quali la sostenibilità e la responsabilità sociale d’impresa.
Ma viaggio significa anche e soprattutto relazione: con gli oggetti in cui ci imbattiamo, con i luoghi che attraversiamo, con le esperienze e le emozioni che viviamo, con le persone che incontriamo. Il desiderio è il risultato di una relazione che si alimenta, continuamente, grazie alla narrazione e ai simboli, all’incontro e alla presenza fisica dei soggetti coinvolti, alla condivisione di strumenti, di intenti e di obiettivi.
A questo punto dovresti aver capito che cosa conviene fare: qualsiasi sia il tuo business, mettiti in viaggio con il tuo prosumer e vivi, insieme a lui, le storie che ancora non avete scritto. Entrambi ne guadagnerete e nessuno potrà sostituire né eguagliare la vostra relazione. Proprio così: una volta attivate le dinamiche del desiderio, i competitor scompaiono e puoi dedicarti alla cura della relazione con il tuo cliente.
E allora, buon viaggio a entrambi!
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