Sabato 3 ottobre 2020, al Centro di Ricerca Rifiuti Zero di Capannori (Lucca) abbiamo fatto il punto sulle alternative alla plastica monouso a un anno dalla collaborazione tra Qwarzo, azienda che propone un’innovativa soluzione alla plastica in ambito food contact, e Zero Waste Italy.
Questione di politica
Rossano Ercolini, presidente del Centro e Goldman Environmental Price 2013, ha introdotto il dibattitto evidenziando l’assoluta necessità di un ruolo più forte del decisore politico nella conversione, economica e sociale, a una maggiore sostenibilità.
Proprio adesso, ora che dovranno essere distribuiti i 209 miliardi del Recovery Fund, per almeno il 30% da destinare alla cosiddetta green economy, c’è bisogno di potenziare il ruolo del Green Public Procurement e creare, in questa fase iniziale, un mercato “verde” protetto. Solo così, afferma Ercolini, permetteremo la nascita e lo sviluppo di idee e progetti di business sostenibili, tutelandoli in un primo momento dalle sole leggi della convenienza economica, giusto il tempo di innescare l’inerzia necessaria per un posizionamento competitivo sui mercati.
In questo scenario, come ribadito dal sindaco di Capannori e presidente della Provincia di Lucca Luca Menesini, anche il ruolo delle amministrazioni locali e dei singoli cittadini è fondamentale: è ora, attraverso scelte più consapevoli di acquisto e, anche, politiche, che si imprime la giusta svolta al mercato e alla società, tutti insieme. Menesini, in partenza per Bruxelles, ha inoltre evidenziato la necessità di apportare un emendamento alle recenti norme del “Pacchetto Economia Circolare”, fissando un tetto massimo, nel medio e lungo periodo, non solo nella raccolta di rifiuti indifferenziati ma alla stessa produzione.
I numeri dell’inquinamento da plastica
Enzo Favoino, coordinatore scientifico di Zero Waste Europe, ha snocciolato i numeri aggiornati dell’inquinamento da plastica nel mondo, mettendo in luce quello che di buono è stato fatto a livello europeo e quello che, invece, deve ancora essere fatto.
Ogni anno, la quantità di plastica che finisce in mare oscilla tra gli 8 e i 13 milioni di tonnellate. Di questo passo, si prevede che entro il 2050 il peso dei rifiuti plastici dispersi negli oceani supererà quello di tutta la fauna ittica: più plastica che pesci. A oggi, il Pacific Ocean Plastic Vortex, l’isola di rifiuti plastici che fluttua non distante dalla West Coast, ricopre un’area grande all’incirca come la superficie di Portogallo, Spagna, Francia, Italia e Svizzera messe insieme.
Le microplastiche sono ormai ovunque: nel suolo e nelle falde acquifere, in atmosfera e nelle precipitazioni. Inevitabilmente, finiscono anche nel nostro piatto: è stato calcolato che ogni settimana ingeriamo mediamente 5 grammi di plastica, più o meno come mangiarsi una carta di credito.
La direttiva europea contro la plastica monouso è un buon punto di partenza, ma non sufficiente. Il divieto per piatti, bicchieri e posate, cannucce e oggetti di questo tipo in plastica usa e getta scatterà il 3 luglio 2021 e metterà fine alla produzione, alla commercializzazione e al consumo di alcuni materiali tra i principali responsabili dell’inquinamento marino da plastica. Ma occorre intervenire anche in altre direzioni, prima fra tutte la tecnologia e gli impianti di riciclo: a oggi, solo il 15% della plastica viene riciclata nel mondo.
Oltre il business-as-usual
L’Europa si è posta l’ambizioso obiettivo del 100% di materie plastiche da imballaggi riciclate entro il 2030: un risultato che richiede un cambio radicale nella gestione di questi materiali e l’introduzione di strategie diverse dalla sola raccolta differenziata. Ad esempio, reintroducendo il deposito cauzionale, afferma Favoino, si potrebbe raggiungere in brevissimo tempo il 90% di recupero per le bottiglie in PET.
Ciò che è ormai sotto gli occhi di tutti, è l’assoluta urgenza di un’azione immediata e più decisa. Mantenendo invariati i nostri attuali comportamenti ovvero conducendo il business-as-usual, tra soli dieci anni le tonnellate di plastica in mare saranno 29 milioni di tonnellate: con le strategie attualmente in essere, riusciremmo a prevenirne solo il 7%. Il report Breaking the Plastic Wave, frutto dello studio di alcune delle più prestigiose università al mondo in collaborazione con la Ellen MacArthur Foundation, traccia il più completo quadro sulla problematica e parla chiaro: se non facciamo niente adesso, solo limitandoci ai prossimi cinque anni saranno 80 in più, le tonnellate di plastica che finiranno negli oceani.
Favoino evidenzia, quindi, l’assoluta urgenza di un approccio sistemico e globale alla questione. Bisogna agire ora e attraverso strategie condivise, seguendo la strada europea ma non limitandoci a questa. Dobbiamo fare di più, molto di più.
Un’alternativa rivoluzionaria alla plastica monouso
A un anno esatto dal nostro primo incontro (che ho raccontato in questo articolo), ritrovo Qwarzo in splendida forma. Il cambiamento è subito evidente a partire dal nuovo, anzi dai nuovi, pay-off che sostituiscono il precedente We replace plastic. Perché, come afferma Luca Panzeri, fondatore e Chief Technology Officer di Qwarzo, presentarsi come una “alternativa alla plastica” non è più un valore aggiunto: dobbiamo guardare oltre questo materiale, al punto quasi da dimenticarlo.
Il primo nuovo pay-off è: Sustainability (r)evolution.
Il secondo: Paper (r)evolution.
È su quest’ultimo, a mio avviso, che dobbiamo soffermarci, perché la rivoluzione nasce proprio da qui, dalla carta “qwarzata”. Che sia un’autentica rivoluzione lo si capisce dalle parole, tanto che hanno dovuto coniarne una nuova, qwarzato appunto. Che significa rivestito o meglio trasformato o meglio ancora creato con Qwarzo.
La loro alternativa alla plastica è radicalmente diversa da tutte quelle a oggi diffuse sul mercato, semplicemente perché non ha niente di plastico cioè non stiamo parlando di polimeri artificiali: no, nemmeno bio-based. Stiamo parlando di carta, pura e semplice carta. Ma con un qualcosa in più, naturalmente.
Il miglior sostituto della plastica? La carta
E questo qualcosa è appunto Qwarzo, una soluzione a base di silicio che viene applicata al materiale cellulosico come fosse un inchiostro, e che permette alla carta di assumere caratteristiche simili alla plastica garantendo performance equivalenti in termini resistenza all’acqua, alle sostanze oleose e alle alte temperature. Quello che otteniamo è un prodotto con certificazione A+ Aticelca, il massimo livello in termini di riciclabilità, ed è in arrivo un’altra preziosa certificazione di sostenibilità, Ok Compost di TÜV Austria. Un materiale perfettamente riciclabile e compostabile, quindi, a impatto zero sull’ambiente.
Ecco perché le principali applicazioni della carta qwarzata strizzano tutte l’occhio al food contact: è qui, nei materiali destinati al contatto con gli alimenti e nel packaging alimentare che la tecnologia Qwarzo esprime il suo meglio. Palette per il caffè e per il gelato, capsule di caffè, cannucce e posate, piatti e, presto, addirittura vasetti per yogurt e, perché no, bottiglie per l’acqua… di carta! Nessun limite potenziale alle applicazioni di questa combinazione davvero innovativa di materiali, se non quelli, del tutto naturali, di una giovanissima azienda che vuole prima di tutto crescere in modo sostenibile, anche finanziariamente.
I primi investitori hanno già scommesso su Qwarzo e c’è da credere che in poco tempo ne arriveranno altri. In un solo anno, l’azienda è cresciuta da 4 a 20 dipendenti, ha più che quadruplicato l’offerta ma, soprattutto, è passata dal produrre “semplicemente” la chimica al prodotto finito, cioè la carta qwarzata e gli articoli pronti per il mercato. Non ultimo, nel dicembre 2019 Qwarzo ha vinto l’“Ocean Plastic Innovation Challenge” di National Geographic – ma, se chiedi a loro, ne parlano quasi sottovoce perché un premio è già passato e, loro, preferiscono guardare al futuro.
