La Legge di Bilancio 2021, L. 30 dicembre 2020, n°178, introduce una misura in direzione di una maggiore economia circolare riprendendola dalle buone vecchie abitudini soppiantate dal cosiddetto “progresso”: il vuoto a rendere.  Si tratta di un provvedimento ancora sperimentale e circoscritto a porzioni assai limitate del nostro Paese, le cosiddette Zone Economiche Ambientali (ZEA), ma sintomatico a comprendere “l’aria che tira” in fatto di rifiuti e imballaggi.

Che cos’è il vuoto a rendere?

Vuoto a rendere è l’imballaggio, di solito in vetro o plastica, che viene reso al fornitore dopo il consumo, a fronte di un lieve sovrapprezzo all’acquisto che viene restituito alla consegna del recipiente. Questo, una volta sterilizzato, riempito e, all’occorrenza, etichettato, è pronto per essere nuovamente acquistato dal consumatore e dar vita a un nuovo ciclo.

Vuoto a rendere, prendiamo spunto

Virtuosa pratica un tempo radicata anche nel nostro Paese, oggi il vuoto a rendere è praticato con successo in alcuni Paesi europei. Fra tutti, la Germania è lo Stato con le performance più elevate: grazie al vuoto a rendere, hanno ridotto i rifiuti da imballaggi in plastica dell’80% e quelli da imballaggi in vetro del 90%.
Nei supermarket tedeschi non è raro imbattersi in macchine automatiche per restituire il vuoto: si inserisce l’imballaggio, solitamente bottiglie, e il sistema rilascia un buono da poter spendere all’interno del centro commerciale. Iniziative che vengono riprese anche in Italia, come questa; ma si tratta ancora di casi a dir poco eccezionali.
In Olanda, invece, il sovraccarico di 25 cent che l’acquirente corrisponde per ogni bottiglietta acquistata, viene restituito nel momento in cui restituisce l’imballaggio al fornitore. Come in Germania, il reso può essere effettuato al supermarket o nei punti vendita di generi alimentari.

Contributi per il vuoto a rendere, ma solo nelle Zone Economiche Ambientali

La Legge di Bilancio 2021 cerca di reintrodurre il vuoto a rendere ma, come dicevamo, solo nelle Zone Economiche Ambientali. Le ZEA, istituite nel 2019 con il cosiddetto Decreto Clima, trasformano i comuni ricadenti nelle aree parco nazionali italiani (circa il 6% del territorio nazionale) in zone soggette ad agevolazioni e vantaggi fiscali, con lo scopo di incentivare attività imprenditoriali ecosostenibili e contrastare l’abbandono di tale aree.

I commi 760-766 della L. 178/2020 riconoscono un contributo a fondo perduto a commercianti, distributori, addetti al riempimento, utenti di imballaggi e importatori di imballaggi pieni (i cosiddetti utilizzatori) con sede operativa all’interno delle ZEA che introducono il sistema del vuoto a rendere per gli imballaggi contenenti liquidi a fini alimentari. Il contributo è pari a 10.000 euro, nel limite complessivo di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021 e 2022. 

Italia, maglia nera per le bottiglie in plastica

Una misura che ci auguriamo possa essere ben presto estesa anche al resto del nostro Paese. L’Italia, infatti, detiene in Europa la “maglia nera” per il consumo di bottiglie di plastica: con 224 litri annui di acqua minerale pro capite bevuta in circa 11 miliardi di bottiglie, di cui l’84% è in PET, siamo il maggior consumatore europeo di imballaggi alimentari in plastica. Di questi, solo il 12% circa è riciclato.
Un po’ meglio va col vetro: del 16% di bottiglie che utilizziamo, riusciamo a riciclare il 90% tramite vuoto a perdere.

Riutilizzare è meglio di riciclare

Un processo, quello del riciclo del vetro, che è virtuoso ma solo a metà.

Volendo anche non “mettere a bilancio” le emissioni dovute ai trasporti legati al recupero del materiale da riciclare, la rifusione del vetro necessita di alte temperature (1400 °C) ed emette, oltre ad anidride carbonica, ossido di azoto e polveri dannose per l’ambiente e la salute.

Ce lo insegna il secondo principio della termodinamica e lo ribadisce la “gerarchia dei rifiuti” come da Direttiva 2008/98/CE: il riutilizzo di un bene, in questo caso un imballaggio, è sempre preferibile al recupero materiale poiché richiede un minor dispendio energetico e, quindi, un ridotto impatto ambientale.

È stato calcolato che sostituire le bottiglie in PET con equivalenti in vetro riutilizzabili fino a 30 volte con il vuoto a rendere, farebbe risparmiare 950.000 euro annui di petrolio, oltre a ridurre drasticamente le emissioni necessarie alla produzione di nuove bottiglie. Produrre un contenitore in PET richiede circa mezzo litro di petrolio: per soddisfare il consumo italiano servono circa 5,9 milioni di barili di petrolio ogni anno.

Il vuoto a rendere come leva di marketing

Proprio così. Sotto questi chiari di luna, cioè in un momento in cui comunicare un migliore cioè più virtuoso rapporto tra le imprese e i rifiuti rappresenta un valore aggiunto, il vuoto a rendere fa la differenza.
Le aziende che possono permettersi di reintrodurlo nei ciclo di vita del proprio prodotto, comunicano al consumatore finale, agli altri operatori della filiera e a tutti gli stakeholder il proprio rinnovato e concreto impegno per un ambiente più sano.

È bene sottolineare “che possono permetterselo”, perché è evidente come oggi, con il vuoto a rendere caduto in disuso da decenni, reintrodurre le infrastrutture e le modalità operative necessarie a renderlo economicamente conveniente ed efficiente ha un costo rilevante, insostenibile per la galassia di piccole e medie imprese che imbottigliano e rivendono bevande nel nostro Paese.

“Vuoto a rendere” chi può

E infatti, sono i colossi del beverage ad aver compreso subito i vantaggi del ritorno al vuoto a rendere, attrezzandosi per riproporlo al mercato. In questo modo, offrono al “consumatore verde” un valore aggiunto notevole, rafforzando in esso la percezione di brand attento alla sostenibilità e all’ambiente.
Un esempio su tutti: Peroni che, lo ricordiamo, è parte di uno dei più grandi gruppi di produttori brassicoli al mondo, Asahi Group Holding.

Con la nuova linea di bottiglie UNI (poiché dal formato universale), il cui riutilizzo è garantito dalle 15 alle 18 volte, Peroni comunica un più forte impegno per la salvaguardia dell’ambiente.

“Impegno che vogliamo trasmettere ai nostri consumatori con questo particolare formato,” dichiara Marina Manfredi, marketing manager di Peroni Line. “Pensare che quella bottiglia avrà ancora una lunga vita e non verrà smaltita in quel momento è una cosa incoraggiante, un segno di rispetto per l’ambiente e il territorio in cui viviamo, un progetto che abbiamo deciso di portare avanti con orgoglio e che siamo sicuri possa essere un piccolo ma concreto aiuto alla sostenibilità ambientale. Si tratta solo di acquisire una nuova abitudine, utile prima di tutto a noi stessi.”

E dove viene comunicato tutto questo?
Nota bene: Peroni ha scelto di comunicare il vuoto a rendere nella posizione più efficace e prestigiosa che una bottiglia dispone sul proprio corpo, la fascetta.

I conoscitori di vino sanno bene come questa posizione è riservata alle denominazioni di origine: la fascetta è da sempre prerogativa di DOC e DOCG. Cioè degli attributi più di valore relativi alla qualità del prodotto. E la birra, com’è noto, applica da sempre tattiche di “mimetismo batesiano” nei confronti del vino: lo fa per nobilitarsi agli occhi di un target di consumatori ancora poco acculturato e predisposto, per ragioni storiche, a preferire il nettare di Bacco alla “fracida bevagna”, per dirla con l’Angiolieri.

Tutti avvisati, quindi. Per marketer e retailer, una dichiarazione in fascetta su una bottiglia equivale a un grido di battaglia: corra (subito) al vuoto a rendere chi può!